da L’Osservatore Romano, 9 novembre 2008
Le goffe contraddizioni dello scientismo
Fede e ragione tra verità e libero arbitrio
L’ultimo numero della rivista bimestrale “Vita e Pensiero” – che esce la prossima settimana – interviene nel dibattito sul tema del rapporto tra scienza e religione con un articolo che pubblichiamo quasi integralmente. L’autore è un ministro della Chiesa anglicana, fisico e vincitore nel 2002 del Premio Templeton proprio per i suoi studi sulla materia trattata in questo contributo.
di John Polkinghorne
Ho trascorso metà della mia vita studiando fisica teorica, lavorando nel campo delle particelle elementari. La mia passione era usare la matematica per comprendere il comportamento delle più piccole unità della materia. Poi, nel 1979, ho lasciato la mia cattedra a Cambridge per seguire una vocazione completamente diversa: ho cominciato a prepararmi per diventare sacerdote nella Chiesa d’Inghilterra.
In ogni occasione sottolineo che non ho lasciato la fisica perché deluso da questa scienza. Ho in grande considerazione la capacità della fisica di capire la realtà naturale e conservo un vivo interesse per i progressi di questo settore della ricerca scientifica. Ho semplicemente sentito che – dopo aver dato, per 25 anni, il mio piccolo contributo alla scienza – era ora di provare a fare qualcosa di diverso. Fin da ragazzo sono stato cristiano, e la fede religiosa occupa il centro della mia vita; perciò abbandonare la condizione di laico e diventare sacerdote mi è parsa una scelta naturale. Poi, dopo alcuni anni di servizio in parrocchia, sono tornato – restando prete – al mondo accademico di Cambridge perché, nel frattempo, ero arrivato a una chiara e ferma conclusione.
Avendo sperimentato i due ruoli di scienziato e di sacerdote, mi ero convinto che il modo migliore di soddisfare la mia vocazione sarebbe stato quello di pensare e scrivere su un tema di stringente attualità: come la scienza e la fede possono collaborare fra loro.
Mi sono proposto di dedicarmi alla scienza e alla fede con uguale impegno. Le considero complementari fra loro. Hanno in comune una caratteristica molto importante: entrambe credono nell’esistenza di una verità da cercare e da trovare, una verità il cui raggiungimento richiede una ben motivata convinzione. Naturalmente i due tipi di ricerca vedono la realtà da differenti punti di vista; la scienza studia i processi materiali del mondo, la religione s’interessa di questioni più profonde: indaga sul senso della vita, s’interroga sull’esistenza di un significato soprannaturale e su un obiettivo che si trova al di là di ciò che accade. Come un esploratore in viaggio ha bisogno di un binocolo più che di una sola lente, così io sono convinto di dover contare sul duplice sostegno della scienza e della religione, per poter operare con giustizia nella profonda e ricca realtà del mondo in cui vivo. Di me stesso e di alcuni miei colleghi che hanno compiuto la mia scelta, penso che siamo scienziati-teologi che operano veramente “con due occhi”.
Un’importante differenza tra la scienza e la religione è che nella scienza tutte le precedenti acquisizioni si accumulano. Io sono un fisico come tanti altri ma, poiché vivo all’inizio del xxi secolo, sull’universo so molto di più di quanto potesse saperne Isaac Newton più di tre secoli fa, benché lui fosse un grande genio. Non è necessario che io legga i suoi Philosophiae Naturalis Principia Mathematica, nonostante sia uno dei classici del pensiero umano. Sembrerò presuntuoso, ma dal tempo di Newton, specie negli anni dal 1950 al 1980, si sono accumulate una quantità incalcolabile di scoperte.
E quello che ho detto a proposito di Newton vale per James Clerk Maxwell (1831-1879), il cui Trattato sull’elettricità e il magnetismo ci appare oggi quasi grossolano – e chiedo scusa a Maxwell per questo aggettivo. Le attuali conoscenze sull’elettromagnetismo sono molto più raffinate, grazie all’elettrodinamica quantistica. E poi oggi conosciamo nei particolari la struttura dell’atomo. Solo mezzo secolo fa, i fisici delle alte energie erano convinti che le particelle di base fossero protoni e neutroni. Venticinque anni dopo, un contrordine: protoni e neutroni sono particelle composite, formate da quark e gluoni.
Nel campo della religione, la conoscenza si forma diversamente. È chiaro che io debba leggere la Bibbia. Tutte le tradizioni religiose guardano a quelli che sono i loro eventi fondanti, e il dialogo che ne segue deve spaziare attraverso i secoli perché non può essere confinato alla sola scena contemporanea. Nella storia del pensiero filosofico-religioso, ogni generazione ha contribuito alla riflessione con l’apporto delle proprie intuizioni. Ma le intuizioni dei pensatori del passato non sono affatto superate, anzi sono utilissime per lo studioso di oggi, anche se possono richiedere un riesame alla luce delle acquisizioni della conoscenza odierna. Per me, due grandi campioni e maestri – direi “eroi – sono Agostino e Tommaso d’Aquino. Il progresso non si ottiene abbandonando il passato, ma incorporandolo nel presente in modo consono.
È chiaro che non possiamo prendere le intuizioni dei pensatori del passato senza sottoporle alla nostra analisi. Ogni generazione è tenuta a far proprie le conoscenze e la cultura religiosa che ha ereditato e a renderle attuali nel proprio tempo e con i propri mezzi. Per noi, nel xxi secolo, questo significa dare impulso al dialogo tra scienza e religione, che è una grande necessità.
Oggi una delle questioni più pressanti è capire come potrebbero correlarsi l’una all’altra le grandi tradizioni religiose presenti nel mondo. Penso che un interesse condiviso con la scienza possa costituire un punto d’incontro vantaggioso per tutti. Una delle iniziative formulate proprio secondo questo criterio è Science and Spiritual Quest – Scienza e Ricerca Spirituale – progetto attualmente sostenuto dalla John Templeton Foundation che vuole dimostrare che il conflitto fra scienza e fede – di cui si legge e si sente parlare spesso – in realtà non esiste. Questi due mondi dovranno forse restare separati, come due torreggianti istituzioni che si contrappongono l’una all’altra, e fra di loro hanno solo un fragilissimo ponte che le colleghi? Oppure possiamo sperare in una sorta di filosofia e teologia della scienza che, intellettualmente onesta, sia capace di integrare i due sistemi ?
A queste domande si può dare una risposta preliminare: non c’è conflitto fra scienza e religione – almeno quella cristiana – e non c’è stato neanche in passato. Anzi, tutti i pionieri della scienza moderna appartenevano alla cultura cristiana o giudaica. E questo particolare non è affatto accidentale. C’è, naturalmente, un conflitto tra la religione e l’ateismo, un tipo di ateismo che ha abbandonato il credo materialistico – caduto sotto il peso delle proprie contraddizioni – e ora adotta il fisicalismo, dottrina filosofica avanzata dal Circolo di Vienna – culla del neopositivismo – secondo la quale anche le scienze morali devono sottostare ai criteri metodologici della fisica. In pratica, si cerca di usare il prestigio della scienza per sostenere una visione ateistica del mondo, che si contraddice da sola. Uno dei temi che dibatto più spesso con quanti mi scrivono riguarda il libero arbitrio dell’uomo. Dobbiamo ritenere che Dio limiti la propria onniscienza per permettere all’uomo di esercitare la propria libera volontà? A tutta prima la questione può sembrare molto, troppo semplice.
In partenza bisognerebbe stabilire se il tempo è lineare o ramificato. Supponiamo che sia già fissato che il 1° luglio 2010, nonostante le attese, John non sposerà Betsy; allora i due non hanno scelta. Non c’è ragionamento che tenga, secondo l’interpretazione naturale è poco probabile che in questo caso sussista il libero arbitrio. Non pochi filosofi, per la verità, provano ad argomentare che non esiste contraddizione in termini: il libero arbitrio è compatibile con il determinismo. Io però preferisco battere una mia via, che mi convince di più ed è una spiegazione assolutamente compatibile con l’onnipotenza di Dio. Oltretutto nessuno sa esattamente come il tempo appare a Dio. Il mio punto di vista è che, per garantire il libero arbitrio dell’uomo, non sia affatto necessario ritenere che Dio limiti la propria capacità di conoscere il futuro. Io penso che un mondo che può contenere esseri dotati di libera scelta deve essere aperto al futuro, come un mondo del vero divenire. Allora Dio lo conoscerà davvero, secondo la sua vera natura, cioè nel suo effettivo trasformarsi e divenire. La conseguenza è una divina scelta nei confronti del tempo, che non comporta la conoscenza di tutti i dettagli del futuro.
Questa mi sembra la via di cui parla la Bibbia a proposito del rapporto tra Dio e le creature. Tuttavia questo argomento è complesso e controverso, e la nostra comprensione al riguardo è molto limitata.
Del resto, l’idea di un Dio che conosce sempre e di colpo l’intera storia del tempo ha avuto molti sostenitori, tra cui Agostino e Tommaso.
Alla domanda sul libero arbitrio se ne aggiunge subito un’altra, strettamente legata alla prima. Se Dio è buono e onnipotente, perché permette che le creature soffrano e incontrino il male?
Questa è una domanda che continuamente tormenta il credente. È l’antica questione della “teodicea”, parola ideata dal filosofo Leibniz, che alla lettera significa “giustificazione di Dio” e si riferisce all’esistenza del male nel mondo e al libero arbitrio dell’uomo. L’esistenza del male nel mondo sarebbe una prova dell’inesistenza di Dio, secondo i più duri fra gli scienziati materialisti, in particolare secondo Richard Dawkins, il quale ha scelto la fede religiosa come bersaglio di tiri incessanti. Secondo lui, la fede è “un’allucinazione”, mentre l’ateismo poggerebbe su incrollabili basi razionali. Ma si contraddice perché i suoi attacchi sono retorici e privi di argomentazioni logiche.
Scrive Dawkins che in un universo “di cieche forze fisiche, non vi è né ragione né giustizia” e chiama Dio “l’orologiaio cieco”. Il suo cupo giudizio dimostra soltanto che è certa scienza a rivelarsi cieca, quella scienza che si è bendata gli occhi davanti alla possibilità di distinguere il bene e il male. Torniamo al libero arbitrio e alla scelta tra bene e male, con una premessa: perché Dawkins non si rivolge a me e ai colleghi che, come me, sono al tempo stesso scienziati e credenti?
Noi non studiamo il mondo fisico per trovare prove dell’esistenza di Dio; al contrario, ci basiamo sull’esistenza di Dio per comprendere come si è evoluto il mondo fisico che ci circonda. Il Creatore, donando l’amore alle sue creature, ha fatto loro il dono della libertà.
Alla domanda di Dawkins – può esistere un Dio che consente all’uomo di commettere il male e le peggiori nefandezze? – io rispondo con un’altra domanda: a una realtà caratterizzata dall’esistenza del male e dalla possibilità di commetterlo, preferiremmo forse un teatro di burattini, cioè un mondo fatto di esseri assolutamente telecomandati, cioè di autentici automi? No. Meglio un mondo di creature che possono peccare, ma hanno ricevuto da Dio la libertà di azione: quello che io chiamo lo “spazio metafisico” per essere sé stessi, per autorealizzarsi.
Ma, fra gli scienziati non credenti, ce ne sono molti ai quali non sfugge la potente esperienza di coscienza che l’uomo prova quando sceglie di compiere il bene. Questi scienziati si rendono conto che l’intuizione etica è un segno della dimensione trascendente della vita. Ma non sanno proprio come conciliare questa consapevolezza con la loro filosofia atea. C’è l’altruismo fra consanguinei, studiato dal pensiero evoluzionista – si tratta di proteggere il pool di geni della famiglia, per garantirne la sopravvivenza. C’è l’altruismo reciproco – io aiuto te, in vista dell’aiuto che tu darai a me quando ne avrò bisogno.
Ma che dire dell’altruismo del tutto disinteressato, per esempio quello che spinse la polacca Irena Sendlerova a rischiare ripetutamente la vita per salvare 2500 bambini ebrei intrappolati nel ghetto di Varsavia? Questa eroica donna, morta a 98 anni il 12 maggio scorso, non riusciva a darsi pace per non aver potuto sottrarre alla morte altre piccole vite.
Per risolvere le questioni sollevate dalla teodicea, che Dawkins non riesce a capire, un concreto aiuto viene ai teologi proprio dalla scienza e, in particolare, dalla scoperta che i processi naturali sono inestricabilmente agganciati fra loro. Cercando di conoscere come funziona il mondo, la ricerca scientifica è arrivata alla conclusione che i processi naturali non possono essere separati l’uno dall’altro, in modo che il Creatore possa conservare e convalidare quelli che producono buone conseguenze ed eliminare quelli che hanno conseguenze cattive. Per esempio, il processo di mutazione genetica ha prodotto nuove forme di vita, ma ha anche dato luogo a forme degenerative. Insomma, l’integrità della Creazione presuppone un “tutto compreso”; non si può avere l’uno senza l’altro, potremmo dire oggi, ricorrendo a una formula commerciale che, in questo caso, appare forse troppo divulgativa. John Humphrys, intervistando Dawkins per la Bbc, si chiede perché non si sia ripetuto un intervento divino, questa volta per impedire il male. Ma io credo che un intervento del genere avrebbe potuto aver luogo soltanto in un mondo magico, non nel nostro mondo, perché il Creatore non è un mago capriccioso. Che le cose, nel nostro mondo, stiano come stanno non è dovuto a indifferenza divina; è soltanto il costo necessario di una creazione cui il Creatore ha accordato la libertà di essere se stessa, nel bene e nel male.
A questo punto possiamo vedere un altro aspetto del rapporto tra fede e ragione. Non le divide una rivalità né un’inevitabile contraddizione. La fede religiosa non comporta affatto che si debbano accettare, con obbedienza cieca, credenze immotivate imposte da un potere superiore. È esattamente il contrario. Con la fede ci si impegna in una forma di credenza motivata; dalla ragione scientifica la fede differisce solo per la natura del soggetto, e per il tipo di motivazioni che la caratterizzano. La scienza mette a segno i propri successi perché le sue ambizioni sono modeste, in quanto considera soltanto esperienze impersonali, che possono essere ripetute a volontà. L’esperienza personale, invece, ci permette di incontrare la realtà transpersonale di Dio, mentre lo scientismo che cosa ci offre? Un mondo di sistemi meta-stabili che processano l’informazione, senza spazio per la persona.
E i sistemi meta-stabili sono quelli in cui la condizione di equilibrio regge finché non sopraggiunge un’energia anche minima che spezza lo stato di inerzia. Tutto ciò ci riporta a Richard Dawkins e alla sua incapacità di credere nel potere dell’immaginazione come forza per esplorare la realtà. Di Dawkins è stato detto che “sembra voler sostituire Re Lear con una serie di rapporti e casi clinici sulla demenza senile”. Ma il dibattito sul rapporto tra scienza e fede non farà alcun progresso se chi vi partecipa non avrà maturato la convinzione che la questione della verità è essenziale tanto per la religione quanto per la scienza. La religione non ha l’accesso alla prova assoluta delle proprie credenze. Ma non lo possiede neanche la scienza.
© L’Osservatore Romano
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