da L’Osservatore Romano, 27 novembre 2008
L’universo si gonfia come un palloncino
Marginalità e centralità dell’uomo nell’universo
di Ugo Amaldi
I quattrocento anni dalla nascita di Galileo sono un’occasione unica per descrivere il percorso che ha condotto gli astrofisici ad abbandonare l’eliocentrismo, da lui con tanta convinzione propugnato, fino a giungere all’attuale cosmocentrismo. Galileo scoperse le macchie solari e i satelliti di Giove. Dopo di lui telescopi sempre più potenti furono utilizzati per scrutare il cielo notturno e in particolare la Via lattea, che già appariva come un insieme molto denso di stelle. Ma soltanto nel 1918 Harlow Shapley dimostrò che il Sole si trova a trentamila anni-luce dal centro della Via lattea e la visione galattocentrica sostituì l’eliocentrismo.
Il passaggio dalla visione galattocentrica a quella cosmocentrica fu invece rapido. All’inizio degli anni venti Edwin Hubble misurò la distanza a cui si trova la nebulosa Andromeda e concluse che è un’altra galassia. Nel 1929 lo stesso Hubble annunciò il fatto che le innumerevoli galassie, allora appena scoperte, si allontanano dalla Via lattea con una velocità che è tanto maggiore quanto più esse sono lontane. Le galassie si allontanano perché lo spazio cosmico che separa le galassie aumenta continuamente di volume, come aiuta a comprendere la metafora del palloncino di gomma e delle galassie rappresentate da coriandoli incollati sulla sua superficie. Quando il palloncino viene gonfiato i coriandoli-galassie si allontano gli uni dagli altri, ma nessuno di loro occupa una posizione speciale.
Oggi sappiamo che l’universo è fatto da cento milioni di galassie, ciascuna delle quali contiene cento milioni di stelle. Quando il palloncino-universo ha cominciato a gonfiarsi quattordici miliardi di anni fa la massa-energia di tutte queste galassie occupava un volume piccolissimo. Dobbiamo parlare di massa-energia, e non di massa e di energia separatamente, perché esse si possono trasformare l’una nell’altra. In particolare, nelle collisioni e decadimenti delle particelle che accadevano nella zuppa cosmica durante le prime frazioni di secondo dopo il big bang, le masse di nuove particelle, e delle loro antiparticelle, erano create nelle continue collisioni.
Un cambiamento di prospettiva del quadro cosmocentrico si annunciò quando, negli anni trenta, gli astrofisici si accorsero che le stelle periferiche ruotano intorno al centro della propria galassia con una velocità che è molto maggiore di quella che si calcola tenendo conto della massa dei cento milioni di stelle che la costituiscono. Ciò è dovuto al fatto che ogni galassia è immersa in un enorme alone fatto di una sostanza, che non è visibile ai telescopi, perché non assorbe e non emette luce, e che per questo è detta “materia oscura”.
La relatività generale interpreta l’espansione dell’universo come dovuta alla continua creazione di spazio che avviene negli spazi intergalattici. Questa espansione, rapidissima all’inizio, diventa sempre più lenta fino ad arrestarsi a causa dell’attrazione gravitazionale tra le galassie. Ma nel 1998 fu scoperto che il palloncino, cioè l’universo, ha da qualche miliardo di anni cominciato a espandersi e lo fa sempre più rapidamente. Ciò è dovuto a una forza repulsiva prima inosservata, che respinge le galassie e tende a vincere l’attrazione gravitazionale.
La densità di questa “energia oscura” contribuisce, insieme alla massa-energia visibile e alla materia oscura, alla massa-energia totale dell’universo. Anzi, ne è la frazione maggiore, ben il 73 per cento. La materia oscura rappresenta invece il 23 per cento della densità totale e la massa-energia visibile ne è soltanto il 4 per cento. Il sistema solare fa parte di quel piccolo 4 per cento, un motivo di più perché, nella moderna visione cosmocentrica, l’uomo si senta fisicamente marginale.
I valori numerici di queste tre frazioni sono la conseguenza dei fenomeni accaduti durante il primo milionesimo di secondo contato a partire dal big bang. Allora l’universo era una zuppa cosmica di particelle, che si trovava a una temperatura molto più elevata di quella che si ha al centro del Sole e occupava un volume molto più piccolo di quello della nostra galassia. Ma cosa vuol dire temperatura “più elevata”? Semplicemente che le particelle si urtavano continuamente e disordinatamente tra loro con energie proporzionalmente maggiori. “Altissime temperature” è infatti sinonimo di “urti tra particelle ad altissime energie”.
Poiché sulla Terra non è possibile produrre queste temperature, le condizioni di allora possono essere studiate in laboratorio soltanto accelerando le particelle singole a energie elevatissime e facendole urtare in modo che le energie di collisione siano uguali a quelle che si avevano quando le stesse particelle si agitavano nella zuppa cosmica. Per questo i grandi acceleratori circolari del Cern sono gli strumenti che permettono di ricostruire ciò che accadde allora.
Negli anni novanta, al Large electron positron collider del Cern (il Lep) abbiamo riprodotto e studiato le condizioni che si avevano nella zuppa cosmica un decimo di miliardesimo di secondo dopo il big bang. Tutte le particelle osservate al Lep, e le forze che agiscono tra di loro, sono state integrate in un modello completo e simmetrico che è detto “modello standard” delle particelle e delle forze.
Nel quadro di questo modello è possibile calcolare la densità dell’energia oscura. Infatti, secondo la meccanica quantistica il vuoto cosmico non è il nulla: nel vuoto si creano e si distruggono continuamente coppie di particella-antiparticella che, come conseguenza del principio di indeterminazione, esistono soltanto per tempi brevissimi. Con il modello standard questo calcolo dà però una densità di energia molto maggiore di quella che si osserva.
Per risolvere i problemi della materia oscura e dell’energia oscura, il modello oggi più preso in considerazione è la “teoria delle corde” detta, più semplicemente e per assonanza con la parola inglese string, “teoria delle stringhe”. In questo modello le particelle del modello standard non sono puntiformi. Esse vanno pensate come infinitesimi anellini che possono vibrare in modi diversi, così come una corda di violino può emettere note diverse; ogni modo di oscillazione appare come una particella diversa.
Questa teoria molto generale permette di inquadrare tutte le particelle del modello standard e per di più predice che per ognuna di queste particelle esista un’altra particella, che è la sua superparticella. Questa duplicazione, descritta in una sola frase, appare come un trucco da imbonitori; in realtà la sottile simmetria che essa introduce nella teoria è talmente bella e soddisfacente da essersi meritato il nome di supersimmetria e da aver convinto moltissimi scienziati della sua validità, anche in assenza di prove sperimentali.
Le particelle supersimmetriche hanno masse tanto grandi da non poter essere prodotte al Lep. Invece nel Large hadron collider – costruito nello stesso tunnel del Lep e in funzione al Cern dall’anno prossimo – le collisioni avverranno a energie dieci volte più grandi e i sostenitori della supersimmetria sono convinti che saranno create e osservate almeno le più leggere della ventina di nuove particelle previste. Tra di esse vi sarebbe una superparticella neutra stabile, che cioè non decade. Un’enorme quantità di questi neutralini sarebbero stati prodotti nei primi milionesimi di milionesimo di secondo e, poiché sono stabili, formerebbero oggi gli enormi aloni di materia oscura che danno la loro forma alle galassie.
Cosa dice la teoria delle stringhe dell’altro grande problema aperto, quello dell’energia oscura, l’energia del vuoto cosmico? Negli ultimi anni è stato dimostrato che esiste un numero incommensurabilmente grande di possibili teorie delle stringhe. In ciascuna di queste versioni l’energia oscura ha un valore diverso, talvolta grandissimo – quale lo si calcola nel quadro del modello standard – talaltra piccolo o piccolissimo, come è osservato sperimentalmente.
Nel 1987 il premio Nobel Steven Weinberg argomentò che nel nostro universo si misura un valore tanto piccolo perché, se la densità di energia oscura fosse più grande, l’universo stesso collasserebbe rapidamente e non vi sarebbe il tempo necessario alla formazione di stelle e di pianeti.
Da qui il passo è breve all’ipotesi che esistano un enorme numero di universi, nei quali la densità dell’energia oscura assume tutti i possibili valori; gli esseri pensanti possono allora emergere soltanto in quei pochissimi universi che sono caratterizzati da valori piccolissimi di tale densità. Sui giornali, specialistici e no, il dibattito sull’ipotesi del multiverso è giustificatamente animato, dato che questo modello non può considerarsi scientifico finché i suoi proponenti non avranno fatto una predizione univoca che possa essere controllata sperimentalmente. Comunque a nessuno sfuggono le implicazioni sulla centralità dell’uomo nell’universo.
Il percorso storico fatto mostra che, a partire da Copernico e Galilei, l’antica centralità dell’uomo nell’universo – che allora appariva a tutti evidente – è andata perduta. Sono convinto che – nel dibattito culturale del secolo da poco cominciato – il confronto tra marginalisti e centralisti avrà una grande influenza sulla discussione tra ateisti e teisti, innanzitutto perché oggi la sottende e poi perché essa sarà alimentata da sempre nuovi risultati scientifici. Proprio in vista di ciò, penso sia importante cercare di costruire un quadro di riferimento che chiarisca i termini delle questioni.
I problemi scientifici, come quelli discussi sinora, sono soltanto una piccola frazione delle domande generali che gli uomini pongono e si pongono e che possono essere classificate in problemi scientifici, questioni filosofiche e quesiti esistenziali. Nel rispondere a tutte queste domande ciascun uomo impiega tre componenti di una stessa e unica ratio, dell’unico intelletto: la razionalità scientifica – che risponde ai problemi scientifici, la ragione filosofica – che considera le questioni filosofiche e la ragionevolezza sapienziale – che risponde ai quesiti esistenziali. Questa distinzione non è nominalismo, perché a ciascuna di queste componenti corrispondono oggetti, metodologie e criteri di verità diversi.
Una metafora permette di illustrare l’argomento. Poiché è possibile individuare a priori le domande che costituiscono un problema scientifico, esse possono essere rappresentate da cerchietti di uno stesso colore disegnati al centro di un piano molto vasto. Questi cerchietti sono così disposti tutti all’interno di una linea chiusa, un confine, che lascia al di fuori tutte le domande non scientifiche.
Considero ora il moto della ratio di colui che, partendo dai dati del mondo naturale studiati dalla scienza, attraversa metaforicamente il confine. Nel quadro della metafora, questo moto può essere descritto come un passo di trascendenza orizzontale; trascendenza perché questo termine indica sia l’esistenza di un confine che la presenza di qualcosa che si trova al di là; orizzontale perché ci si muove nel piano metaforico ove sono distribuite tutte le domande.
Come esempio considero l’argomento di Jacques Monod, che individua la base del metodo scientifico nel rifiuto delle interpretazioni che sono date in termini di realizzazione di un progetto: il sasso cade perché la forza di gravità lo attira e non perché il suo posto naturale – il suo progetto – sia il suolo. Monod conclude che l’unica scelta razionale è quella di estendere questo principio al di fuori del confine della scienza, di modo che non è legittimo parlare di un progetto divino sulla natura. Evidentemente questo passo di trascendenza orizzontale non è giustificato dal solo sapere scientifico ma è influenzato dal vissuto personale e da considerazioni filosofiche e sapienziali, che si trovano al di fuori del confine.
Non è sostanzialmente diverso il comportamento di colui che, guidato dalla sua diversa esperienza esistenziale e dalla sua ragione filosofica e ragionevolezza sapienziale, uscendo dal confine del sapere scientifico compie un passo di trascendenza verticale scegliendo, ad esempio, un’opzione religiosa o filosofica che privilegia la centralità dell’uomo nella natura.
In conclusione, questa ingenua metafora mostra che – comunque e sempre – l’intelletto compie un passo di trascendenza: alcuni scelgono la trascendenza orizzontale, altri la trascendenza verticale, e le motivazioni stanno tutte al di fuori del confine del sapere scientifico. Ho constatato di persona che questa impostazione, senza far cambiare posizione ad alcuno, chiarisce i termini del confronto tra teisti e ateisti, tra centralisti e marginalisti.
© L’Osservatore Romano
Lascia una risposta
Devi essere connesso per inviare un commento.