da L’Osservatore Romano, 1 febbraio 2009
Ma la biologia non spiega tutto l’uomo
Inizia l’anno di Darwin
di Lucetta Scaraffia
Inizia l’anno di Darwin, indetto per il doppio anniversario della nascita (12 febbraio 1809) e dell’opera più celebre, On the origins of species by means of natural selection (1859). Un libro che ha segnato una rottura epocale, paragonabile solo a quella di Galileo: Charles Darwin infatti ha cambiato definitivamente la nostra visione del mondo vivente e del posto dell’uomo nella natura, legandolo con un filo ininterrotto alle altre forme di vita. L’originalità radicale del grande scienziato è l’idea che l’evoluzione sia retta dal gioco cieco del caso e della necessità, senza che nella natura si manifesti la minima finalità, e quindi togliendo ogni possibile ruolo a un Dio creatore.
Nonostante siano passati centocinquant’anni, il nome e la teoria di Darwin suscitano ancora violente contrapposizioni, che non sembrano chetarsi: oggi, al pensiero dei creazionisti statunitensi, che certo esercitano un’influenza non sottovalutabile nella cultura del Paese – una recente indagine rivela che il quaranta per cento degli americani rifiuta l’evoluzione – si aggiunge la diffusione della visione creazionista anche in ambito islamico. Come nel caso del predicatore turco Adnan Oktar, autore di un gigantesco “atlante della creazione” e in stretti rapporti, probabilmente anche finanziari, con i creazionisti degli Stati Uniti. Ci si può domandare come mai, dopo tanti anni, le polemiche divampino ancora così forti: le risposte le troviamo sia in ambito scientifico che religioso.
A differenza di Galileo, che avviò una rivoluzione culturale basata su inconfutabili prove scientifiche, per pensare il mondo vivente Darwin fornisce piuttosto un quadro concettuale, di cui però non ha tutte le prove. La sua teoria, infatti, non spiega da dove venga la variazione né come funzioni l’ereditarietà; sarà solo dopo la riscoperta delle ricerche del botanico Gregor Mendel che la sintesi neodarwiniana comincerà a rispondere a queste domande, con teorie che le ricerche successive, soprattutto quelle sul Dna, confermeranno e arricchiranno. Dal momento, poi, che questo quadro concettuale non lascia posto a Dio, esso diventa per molti la prova della sua non esistenza, e dunque lo strumento primo per una propaganda ateistica, quale è stata senza dubbio la prima fase di diffusione del darwinismo in ambito europeo.
Ma, soprattutto, a essere messa in discussione dal pensiero darwiniano è la supposta natura divina dell’essere umano, la convinzione che noi al di sopra di tutte le altre forme di vita siamo esseri spiritualmente elevati, favoriti dal Creatore. È qui che Darwin entra in conflitto con il cristianesimo, l’ebraismo, l’islam e, probabilmente, con la maggior parte delle religioni. La Chiesa cattolica, che del resto non ha reagito ufficialmente neppure mettendo il libro all’indice, si è sempre rifiutata di pensare che la religione e la scienza non possano camminare insieme, nonostante la strumentalizzazione in favore dell’ateismo che veniva fatta del libro e dell’autore. Nel 1950 l’enciclica Humani generis autorizza la discussione sull’origine del corpo umano a partire da una materia organica già esistente e nel 1996 Giovanni Paolo II definisce l’evoluzionismo più di una ipotesi. Questo atteggiamento di apertura, se pure cauta, e di forte interesse per il problema è confermato dal convegno che si terrà alla Pontificia Università Gregoriana agli inizi del prossimo marzo su fatti e teorie dell’evoluzione biologica.
Recenti studi sulla vita di Darwin – e in particolare la biografia scritta dal discendente Randal Keynes, che ha utilizzato un gran numero di documenti privati – mettono in luce il processo che porta il grande scienziato ad abbandonare la fede in Dio, come lui stesso racconta nell’autobiografia: “L’incredulità si insinuò lentamente nel mio spirito, e finì col diventare totale”. Ma questi contributi rivelano anche che il profondo materialismo della visione di Darwin non è provocato solo dagli studi scientifici, per cui la scoperta della selezione naturale fa cadere ogni ipotesi di disegno divino, ma anche, se non soprattutto, dai dolori della vita, in particolare come reazione alla prematura scomparsa dell’amatissima figlia Annie: “Non riesco a vedere con la medesima nitidezza di altri – scrive all’amico Asa Gray dopo la morte della bambina – la prova di un disegno e di una benevolenza divini tutto intorno a noi. Ai miei occhi sembrano esserci troppe afflizioni nel mondo”. E, infatti, solo dopo questa morte Darwin si lasciò risolutamente alle spalle la fede cristiana. Questa accentuazione di una forte componente personale nel rifiuto della fede da parte del grande scienziato può fare sperare più che in passato in una compatibilità fra scienza evoluzionista e fede in Dio, già difesa del resto dallo scienziato gesuita Pierre Teilhard de Chardin.
Ma oggi la questione più scottante è un’altra: non tanto la possibilità di far coesistere l’ipotesi scientifica dell’evoluzione delle specie viventi con un progetto divino, ma il modo stesso di concepire l’essere umano. Lo sviluppo delle scienze del cervello, della psicologia evoluzionistica e delle scienze sociali cognitive – come prova il proliferare del suffisso “neuro” davanti a campi di indagine finora appartenuti alle scienze umane, come l’economia, l’estetica, la politica – avrebbe infatti dimostrato la dipendenza radicale del sociale e del culturale dal biologico. Mettendo così in crisi l’idea che la capacità umana di produrre cultura, linguaggio, morale costituisca una prova della specificità dell’uomo. Oggi più che mai, dunque, la questione non è tanto la contrapposizione fra scienza e Bibbia sulla storia dell’evoluzione, ma il rapporto fra scienza – o almeno una parte di essa – e fede nella definizione del concetto di natura umana. Per difendere una specificità che dà senso spirituale a ciascuna delle nostre vite.
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