L’intervento di P. George Coyne al Convegno “Il caso Galileo. Una rilettura storica, filosofica, teologica”, organizzato dall’Istituto Stensen a Firenze
La così detta Commissione Galileo fu costituita da Giovanni Paolo II con una lettera del Cardinale Segretario di Stato, il 3 luglio 1981, ai membri della Commissione. Il 31 ottobre 1992, con una solenne udienza alla Pontificia Accademia delle Scienze, Giovanni Paolo II concluse il lavoro della i L’allocuzione dei Papa fu preceduta da quella del Cardinale Paul Poupard che, con una lettera del 4 maggio 1990, era stato invitato dal Cardinale Segretario di Stato a coordinare le fasi finali del lavoro della Commissione. Un’analisi di queste due allocuzioni rivela alcune inadeguatezze.
Il recente dettagliato rapporto sui documenti di archivio della Commissione Galileo di Artigas e Sànchez de Toca richiede una revisione dei precedenti giudizi su quelle inadeguatezze, incluso i miei. Vorrei innanzitutto riassumere quelle che sembrano essere le principali conclusioni da trarre dal rapporto sulla revisione dei documenti di archivio appena citato. Dai documenti di archivio risulta ora chiaro che, sebbene il Papa avesse espresso nel suo discorso del novembre 1979 il desiderio di studiare il caso Galileo, non avviò la fondazione della Commissione prima del febbraio 1981, con la richiesta di una proposta indirizzata all’allora Cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze, Padre Enrico di Rovasenda. La Commissione fu costituita poco dopo, nel luglio 1981. Risulta chiaro daì documenti d’archivio della Commissione che essa non funzionava come un’entità unificata permanente ma piuttosto come terreno di incontro e punto di collegamento peri vari sforzi individuali dei responsabili di sezione. Alla base delle inadeguatezze nelle conclusioni del lavoro della Commissione sembrano esservi alcune decisioni strategiche prese durante la durata in carica della Commissione. La più importante di queste fu la decisione di tenere un’udienza solenne invece di fare uno scambio di lettere tra il Papa e il Cardinale Poupard come capo del Pontificio Concilio della Cultura. Tali lettere avrebbero concluso il lavoro della Commissione e sarebbero state rese pubbliche. Dal momento che la Commissione non era giunta a delle nuove ed importanti conclusioni, la scelta migliore sarebbe stata forse una strategia di scambio di lettere.
Fin dal primissimo incontro i diversi membri della Commissione espressero dei dubbi su quali nuove scoperte potessero essere rivelate e su quale effetto il lavoro della Commissione avrebbe potuto avere sulle relazioni della comunità scientifica con la Chiesa. Un’altra domanda non risolta riguardava il tipo di pubblico al quale la Commissione avrebbe dovuto rivolgersi. Al pubblico in generale? Agli scienziati? Agli studiosi galileiani? A tutti questi?
Dai documenti d’archivio è possibile identificare almeno tre proposte di possibile conclusione dei lavori della Commissione: (1) un simposio sul tema: “La scienza, la fede e il futuro della Cultura,” organizzato dalla Pontificia Accademia delle Scienze e dal Pontificio Consiglio della Cultura; (2) un semplice scambio di lettere tra il Papa e il Cardinale Poupard nel quale si dichiarasse concluso il lavoro della Commissione; (3) un’udienza solenne alla Pontificia Accademia delle Scienze, ai Cardinali Curiali e al Corpo Diplomatico nel corso della quale il Papa rivolgerebbe un discorso di chiusura del lavoro della Commissione. La decisione di concludere il lavoro della Commissione con un discorso solenne del Papa, come sopra accennato, fu comunicata al Cardinale Poupard dall’allora Segretario di Stato, Cardinale Casaroli, con una lettera del 11 Ottobre 1990. Sembra che questa decisione fosse basata sulla volontà di coinvolgere un pubblico più vasto piuttosto che un gruppo ristretto di studiosi, ma di fatto spostò la responsabilità dalla Commissione al Papa. Si può ritenere infatti che, né il discorso del Papa, né quello del Cardinale Poupard-presentassero le conclusioni della Commissione, dato che la Commissione non aveva effettivamente tratto alcuna conclusione.
I documenti d’archivi contengono varie bozze di proposte per il discorso del Papa, ma la preparazione della bozza definitiva con gli elementi principali da includere nel discorso Papale fu affidato al Cardinale Poupard. Il Cardinale consultò un gruppo di esperti: Padre Bernard Vinaty, O.P., filosofo della scienza; Monsignore Renato Dardozzi; Prof. Nicola Dallaporta; Monsignore Walter Brandmuiler, Padre Pierre-Noél Mayaud, S.J,, geofisico e curatore di un volume di commento su testi scritturistici a proposito della scienza nel 17° secolo; Padre Francois Russo, S.J., Consigliere del Centro Internazionale Cattolico per UNESCO. Di questi ultimi solo Monsignore Dardozzi, come successore al Padre di Rovasenda, era stato membro della Commissione. E’ anche chiaro ora che il discorso del Papa si è appoggiato molto su una bozza di alcuni problemi preparata da Padre Vinaty e che non fu eseguita una consultazione più ampia di esperti.
Infine non sembra che il discorso Papale rifletta molte delle bozze preparate sotto la responsabilità del Cardinale Poupard. Si concentra piuttosto sulla discussione riguardo all’armonia tra la fede e la scienza.
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Da questo sommario dei risultati di uno studio sui documenti d’archivio, vorrei ora riesaminare la mia precedente valutazione della Commissione e specialmente delle allocuzioni di Giovanni Paolo II e del Cardinale Poupard che, a quanto sembra, portarono a termine il lavoro della Commissione.
Lo studio dei documenti d’archivio contribuisce molto a capire i vari intervalli di tempo nella cronologia delle attività della Commissione che, come ho notato, potrebbero portare a varie interpretazioni. E’ ora evidente che tali intervalli possono essere tutti adeguatamente spiegati dalle delicate discussioni che hanno avuto luogo tra il Segretariato di Stato, il Pontificio Consiglio della Cultura, la Pontificia Accademia delle Scienze e, naturalmente, il Papa.
Sebbene in precedenza io abbia approvato il giudizio che sembra esserci stato all’interno della Chiesa un ritiro dalla posizione presa nel 1979 e quella che nel 1992 concluse il lavoro della Commissione Galileo, la revisione dei documenti d’archivio non lo ammette. Come ho notato sopra, furono avanzate diverse proposte sul modo in cui portare a termine il lavoro della Commissione. La decisione strategica di farlo con un discorso del Papa ad un’udienza solenne, con il senno di poi, potrebbe non essere stata la scelta migliore, ma fu presa in buona fede. Una delle bozze del discorso Papale conteneva la seguente affermazione, che poi compare al termine del discorso del Cardinale Poupard: “E’ in tale congiuntura storico-culturale, ben lontana dal nostro tempo, che i giudici di Galileo, incapaci di dissociare la fede da una cosmologia millenaria, erroneamente credettero che l’accettazione della rivoluzione copernicana, per altro non ancora definitivamente provata, fosse di natura tale da far vacillare la tradizione cattolica e che, pertanto, fosse loro dovere proibirne l’insegnamento. Questo errore di giudizio soggettivo, tanto evidente per noi oggi, li spinse a adottare una misura disciplinare per la quale Galileo ‘ebbe molto a sóffrire’. Questi torti vanno riconosciuti con lealtà, come ha chiesto Lei, Beatissimo Padre”.
Gli sbagli della Chiesa e le ragioni di questi sbagli vengono ammessi con chiarezza. Molto altro avrebbe potuto essere detto sulle persone coinvolte nello sbaglio, incluso i Papi, ma se teniamo conto delle inadeguatezze della Commissione e dell’affidabilità dei non-membri della Commissione, possiamo difficilmente considerarlo un ritiro.
Precedentemente avevo criticato l’interpretazione della Lettera di Bellarmino a Foscarini come viene presentata tanto nel discorso del Cardinale Poupard quanto in quello del Papa. Dai documenti d’archivio risulta ora chiaro che queste errate interpretazioni sono dovute ad un’eccessiva dipendenza dal lavoro di P. Bernard Vinaty, O.P. La maggior parte dei studiosi sarebbe d’accordo con la posizione che Bellarmino fosse convinto che non ci sarebbe mai stata una prova del Copernicanesimo e che quindi non sarebbe mai stato necessario reinterpretare le scritture sul movimento del Sole.
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Nella mia precedente critica ho parlato di quattro principali conclusioni presentate nei discorsi di chiusura che furono oggetto di critica da parte degli studiosi Galileiani, Erano il risultato di una riunione di tali studiosi, sponsorizzata dall’Osservatorio Vaticano a seguito delle conclusioni della Commissione e oggetto di riferimento nel rapporto sui documenti d’archivio.
Le quattro conclusioni contestate sono: (1) Si dice che Galileo non avesse compreso che, in quel tempo, il Copernicanesimo era solo “ipotetico” e che non ne possedeva le prove scientifiche; avrebbe quindi tradito proprio i metodi della scienza moderna della quale era il fondatore; (2) si ritiene inoltre che, in quel tempo, i “teologi” non potevano comprendere correttamente le scritture; (3) si sostiene che il Cardinale Roberto Bellarmino avesse compreso che cosa era “veramente in gioco”; (4) quando si venne a conoscenza delle prove scientifiche del Copernicanesimo, la Chiesa si affrettò ad accettare il Copernicanesimo e ad ammettere implicitamente che aveva sbagliato a condannarlo. Ad eccezione del punto (3), che ho appena discusso, le critiche che ho già avanzato sulle altre tre conclusioni rimangono, io credo, ancora valide.
Nel caso Galileo i fatti storici sono che l’ulteriore ricerca sul sistema Copernicano fu proibita dal Decreto del 1616 e poi condannata nel 1633 dagli organi ufficiali della Chiesa con l’approvazione dei Pontefici regnanti. Galileo era un rinomato scienziato mondiale. La pubblicazione del suo “Sidereus Nune4us” gli conferì il ruolo di pioniere della scienza moderna. Aveva definitivamente rovesciato la controversia tolemaico-copernicana contro il lungamente sostenuto sistema tolemaico. L’evidenza dell’osservazione sfidava sempre di più la filosofia naturale aristotelica, che era il fondamento del geocentrismo. Anche qualora il Copernicanesimo venisse alla fine smentito, l’evidenza scientifica doveva essere comunque perseguita. Ad uno scienziato rinominato come Galileo in queste circostanze doveva essere consentito di continuare la sua ricerca. Questo gli fu proibito di fare dalle dichiarazioni ufficiali della Chiesa. E sta proprio qui la tragedia.
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Può il caso Galileo, interpretato con accuratezza storica, offrire l’opportunità di pervenire a comprendere la relazione tra la cultura scientifica contemporanea e la cultura ereditata dalla religione? Nella tradizione cattolica sussiste quello che Blackwell chiama una “logica di autorità centralizzata” dovuta al fatto che la rivelazione deriva dalle Scritture e dalla tradizione che sono ufficialmente interpretati solo dalla Chiesa. L’autorità nella scienza, invece, deriva essenzialmente dall’evidenza empirica, che è il criterio definitivo della verità della teoria scientifica. Nel processo del 1616, Blackwell vede l’imputato come un’idea scientifica e l’autorità che condanna quell’idea come derivata dal decreto del Consiglio di Trento sull’interpretazione delle Scritture. Quali sarebbero state le conseguenze se, invece di esercitare la sua autorità in questo caso, la Chiesa avesse sospeso il giudizio? Ma, avendo già esercitato quell’autorità su un’idea scientifica, la Chiesa poi applicò quell’autorità all’ammonizione data da Bellarmino a Galileo nel 1616. Quell’ammonizione avrebbe giocato più tardi un ruolo chiave nella condanna di Galileo nel 1633 come “veementemente sospetto” di eresia.
Per l’opinione pubblica la Commissione fece senza dubbio molto per rispondere agli auspici di Giovanni Paolo Il espressi nel 1979: “Io auspico che teologi, scienziati e storici, animati da uno spirito di sincera collaborazione, approfondiscano l’esame del caso Galileo e, nel leale riconoscimento dei torti, da qualunque parte questi provengano, rimuovano le diffidenze che quel caso tuttora frappone, nella mente di molti, alla fruttuosa concordia tra scienza e fede, tra Chiesa e mondo”. Tuttavia, per la comunità degli studiosi, un’ulteriore studio del Caso Galileo, con particolare attenzione allo sviluppo della scienza e dell’epistemologia dopo 1633, sicuramente servirebbe sia alla Chiesa sia alla comunità degli scienziati. L’eccellente rapporto sui documenti d’archivio della Commissione lo suggerisce pure.
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