da L’Osservatore Romano, 02 luglio 2009
Tornare sulla Luna (per restarci a lungo)
A quarant’anni dal primo sbarco riprendono le missioni di esplorazione del satellite
di Maria Maggi
L’uomo torna sulla Luna. A quarant’anni dal primo sbarco lunare, avvenuto il 20 luglio 1969, si sta programmando la realizzazione di un avamposto umano sul satellite. Nei giorni scorsi, anzi, sono già arrivate nei pressi della Luna le due sonde lanciate dalla Nasa per studiare questa possibilità. Si tratta del Lunar reconnaissance orbiter (Lro) e del Lunar crater observation and sensing satellite (Lcross).
La prima si è disposta su un’orbita polare, a un’altezza di cinquanta chilometri dalla superficie, la distanza più ravvicinata mai raggiunta in una missione attorno alla Luna. Per almeno un anno raccoglierà informazioni utili per future esplorazioni umane. Con i suoi strumenti, spazzolando la superficie con una capacità di rilevare particolari di un metro, produrrà la più dettagliata topografia tridimensionale del satellite e segnalerà le zone migliori per un allunaggio. Il suo radar, inoltre, potrà penetrare anche gli strati superficiali del suolo valutando l’eventuale presenza di ghiaccio. Raccoglierà dati anche sulle risorse sulle quali i futuri astronauti potranno contare e studierà gli effetti della radiazione cosmica nell’ambiente lunare a cui saranno esposti, impiegando un materiale speciale in grado di simulare il tessuto umano.
La seconda sonda, invece, dovrà verificare la presenza di ghiaccio in un cratere lunare perennemente in ombra al polo sud. Si muoverà su un’orbita di quasi quaranta giorni attorno al sistema Terra-Luna, ancora montato sull’ultimo stadio del razzo vettore Atlas v (Centaur) che l’ha portato nello spazio. La seconda orbita percorsa finirà con un impatto sulla Luna tra il 7 e l’11 ottobre, probabilmente in prossimità del cratere Shackleton. Prima dell’impatto i due veicoli si separeranno: il primo a precipitare sulla superficie sarà lo stadio superiore del razzo vettore. In questo modo, prima di colpire a sua volta la superficie, Lcross attraverserà il pennacchio così sollevato e ne potrà analizzare la composizione alla ricerca di acqua.
La ricerca dell’acqua nel Sistema solare continua anche su Marte. La rivista “Geophysical Research Letters” ha appena dato la notizia che un gruppo di studiosi dell’Università del Colorado ha scoperto un antico lago sul pianeta. I ricercatori hanno ricostruito la sua esistenza attraverso le immagini trasmesse dal satellite Mars reconnaissance orbiter (Mro) lanciato dalla Nasa nel 2005, che sta sorvolando il pianeta rosso a bassa quota – trecentoventi chilometri – con la capacità di visualizzare particolari di solo un metro. L’analisi di queste dettagliatissime immagini indica che un canyon, nella regione di Shalbatana Vallis, è stato scavato dall’azione dell’acqua e che, immettendosi poi in una valle più larga, ha lasciato un ingente deposito di sedimenti in un ampio delta. Ciò suggerisce che in quella zona doveva esistere uno specchio d’acqua ancora più grande. Gli studiosi fanno risalire la formazione del lago Shalbatana, profondo 500 metri, lungo 200 chilometri e con una superficie di circa 1200 chilometri quadrati, a 3,4 miliardi di anni fa, dopo la fine dell’era calda e umida che c’era stata tra 4,1 e 3,7 miliardi di anni fa, in un’epoca che gli scienziati reputano generalmente fredda e secca. Questo lago è poi probabilmente evaporato oppure si è congelato.
Non si tratta delle prime indicazioni sicure dell’esistenza passata di un’estensione d’acqua, perché quattro anni fa ne era già stato individuato uno da un gruppo di astronomi francesi nella regione di Valles Marineris. In ogni modo il letto e i depositi di sedimenti di questi paleolaghi saranno una meta delle future missioni automatiche che scenderanno su Marte alla ricerca di segni di vita passata. Infatti, sulla Terra i laghi e i delta sono zone ricche di fossili e quindi la missione americana Mars Science Laboratory, che partirà nel 2011, potrebbe avere come meta proprio una di queste regioni. Si tratta di un veicolo di superficie (rover) tre volte più pesante e due volte più largo dello Spirit e dell’Opportunity che atterrarono nel 2004 e che ancora oggi funzionano, ben oltre i pochi mesi di vita per cui erano stati programmati.
Intanto anche l’Agenzia spaziale europea (Esa) sta programmando una missione su Marte che attuerà, con ogni probabilità, in collaborazione con la Nasa. Il lancio è previsto per il 2016. Si tratta della missione ExoMars, che prevede un rover che atterri e si muova sulla superficie marziana, mentre la missione americana ha in programma un satellite che resti in orbita attorno al pianeta rosso. Con ExoMars l’Esa ritenterà per la seconda volta l’atterraggio di un rover sul pianeta, dopo il fallimento del Beagle 2 di cui si persero le tracce subito dopo il distacco, il 25 dicembre 2003, da Mars Express.
La futura missione europea si propone di studiare l’ambiente biologico della superficie e cercare eventuali tracce di vita passata o presente, la geochimica del pianeta e la distribuzione dell’acqua. Dovrà, incrementando la conoscenza dell’ambiente e della geofisica marziana, identificare tutti i possibili pericoli sulla superficie in previsione di future missioni con equipaggio.
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