da L’Osservatore Romano, 02 luglio 2009
Ama intensamente l’intelligenza
Dal «consiglio» di Agostino al confronto tra fede e ragione nel Duomo di Pisa
di Gianfranco Ravasi
A distanza di anni, varco ancora una volta la soglia del duomo di Pisa, lasciando alle spalle quel Campo dei Miracoli che – pur nell’enfasi della formula – esprime la meraviglia di ogni visitatore di fronte a un’armonia e a una bellezza così originali. Accanto al pergamo di Giovanni Pisano, un gioiello supremo della scultura gotica e di fronte alla cosiddetta “lampada di Galileo”, che, secondo la tradizione, dette il via alle sue rilevazioni sull’isocronismo del pendolo, intesserò un dialogo pubblico con Ugo Amaldi del Cern di Ginevra, un cognome d’arte che a tutti riporta la memoria del padre Edoardo, morto vent’anni fa, uno dei grandi fisici della celebre scuola romana di via Panisperna, assieme a Enrico Fermi.
Nella città in cui 445 anni fa nacque Galileo la sostanza del nostro dialogo non potrà che vertere sul confronto travagliato eppur glorioso tra scienza e fede.
Non posso ora delineare quale sarà il percorso che svilupperemo all’interno di un orizzonte così sterminato e variegato anche perché non abbiamo voluto predefinire i tracciati, proprio per lasciare più libertà al nostro incontro che sinceramente attendo “con timore e tremore” – per usare la famosa locuzione paolina – trovandomi di fronte a uno scienziato che ammiro profondamente e che ho già ascoltato altre volte con intensa emozione. Per i nostri lettori anticiperò, allora, soltanto una considerazione generale, puntando poi in particolare su un aspetto molto specifico che si connette a quest’anno, così pesantemente marcato dalla figura di Darwin e dal tema dell’evoluzione.
Per il nostro incontro pisano mi piacerebbe adottare, quasi a motto, una frase che Arno Allan Penzias, Nobel 1978 per la fisica, ha pronunciato nel dialogo col giornalista Riccardo Chiaberge, dialogo raccolto nel volume La variabile Dio: “Fede e scienza sono complementari e non opposte e incompatibili”. È, allora, necessario lasciar cadere l’orgogliosa autosufficienza dello scienziato che relega la teologia nel deposito dei relitti di un paleolitico intellettuale, superato da chi corre gloriosamente sul luminoso e progressivo viale della scienza moderna. Ma si deve anche vincere la tentazione del teologo che si illude di perimetrare i campi della ricerca scientifica o di finalizzarne i risultati apologeticamente a sostegno delle sue tesi.
Come scriveva Schelling, occorre che scienziato e teologo “custodiscano castamente la loro frontiera”, rimanendo aderenti ai loro specifici canoni di ricerca, pronti però anche a rispettare e a tenere in considerazione i metodi e i risultati degli ultimi approcci alla realtà umana in esame. Un celebre scienziato come Max Planck (1858-1947), nel suo saggio sulla Conoscenza del mondo fisico, scriveva che “scienza e religione non sono in contrasto, ma hanno bisogno una dell’altra per completarsi nella mente di un uomo che pensa seriamente”.
Tesi ribadita anche da un Papa come Giovanni Paolo II quando nel discorso conclusivo della “Commissione del Caso Galileo” affermava: “La distinzione tra i due campi del sapere (scienza e fede) non dev’essere intesa come un’opposizione. I sue settori non sono estranei l’uno all’altro, ma hanno punti di incontro. Le metodologie proprie di ciascuno permettono di mettere in evidenza aspetti diversi della realtà”.
Uno dei più celebrati studiosi di antropologia culturale, Claude Lévi-Strauss, nella sua opera Il crudo e il cotto, ricordava che “lo scienziato non è l’uomo che fornisce vere risposte, è invece colui che pone le vere domande”. Ebbene, riguardo al tema specifico dell’evoluzione umana, una delle questioni capitali che la scienza presenta, ma al cui svelamento contribuiscono in modo determinante la filosofia e la teologia, è quella, delicata e fluida, del segnale o degli indizi che mostrano l’emergere dell’avvento dell’uomo lungo la grande e complessa traiettoria evolutiva. È su questo aspetto che vorrei soffermarmi ora brevemente e in modo molto semplificato.
Per definire questo trapasso in passato ci si appoggiava un po’ “quantitativamente” sullo sviluppo della capacità cranica e si parlava appunto di un “Rubicone cerebrale”, cioè di una svolta legata alla crescita della massa del cervello. Poi, però, si è preferito puntare più sui marcatori culturali, come il primo apparire del linguaggio e dell’attività simbolica, con l’affiorare di una primordiale sensibilità estetica. Si tratterebbe, quindi, del superamento della mera fisicità con le sue pulsioni istintuali e meccaniche per assurgere a espressioni più libere e “gratuite”. Ebbene, è proprio qui che la filosofia e la teologia possono dare un ulteriore contributo di comprensione.
Innanzitutto lo può fare la filosofia che ci aiuta a individuare il transito dalla pura e semplice biologia, per cui l’organismo funziona secondo regole obbligatorie, alla elaborazione cosciente che giustifica, controlla e persino muta quei fenomeni primari. L’uomo riesce, allora, a rendersi ragione della sua realtà, a spiegarla e a dominarla, a scoprirne le regole che la reggono e a giustificarle. Ma a questo punto avviene qualcosa di più alto che sconfina nell’etica. Per descriverlo vorremmo ricorrere a quel grande pensatore, scienziato e credente che fu Blaise Pascal. Nei suoi Pensieri (n. 829 ed. Chevalier) distingueva un triplice livello progressivo: l’ordine della carne, l’ordine dello spirito e quello della carità. Quest’ultimo livello con la sua gratuità non solo va oltre il meccanismo della carne, ossia della corporeità, già superato dall’ordine dello spirito, ma, come scriveva il filosofo, trascende anche “tutti gli spiriti insieme e tutte le loro produzioni”, aprendo l’uomo all’infinito e all’eterno.
Lo stesso pensatore, in una celebre battuta, ricordava che “l’uomo supera infinitamente l’uomo” e questo trascendimento lo si scopre, ad esempio, nella gratuità creativa dell’amore, che va oltre ogni rigida connessione biologica e anche contro la stessa logica dello spirito che riflette e argomenta. Si pensi alla grandiosa libertà etica esaltata dal cristianesimo col perdonare le offese, proteggere gli ultimi, aiutare anche il nemico o l’estraneo, “dare la stessa vita per la persona amata” (Giovanni, 15, 13). Questo atteggiamento, che fiorisce proprio dall’alta moralità dell’amore e da una scelta libera, smentisce nettamente quell’applicazione rigida e un po’ caricaturale della teoria evolutiva nota come “darwinismo sociale”: l’esempio più emblematico di tale concezione è nelle teorie di Herbert Spencer o di William Sumner che giustificarono le disuguaglianze sociali e le ingiustizie come esiti necessari della selezione naturale e stabilirono un parallelo meccanico tra evoluzione biologica ed evoluzione sociale. Un’analoga applicazione – anche se con esiti antitetici – è reperibile anche nella prospettiva generale di Marx che, tra l’altro, avrebbe voluto dedicare il suo Capitale proprio a Darwin.
La gloriosa e drammatica grandezza etica dell’uomo, intessuto di miseria e di splendore, capace di “bestialità” e di eroismo, è il principale segnale dell'”umanità”, il Rubicone che lo separa dal primate. Non è possibile ricondurre questa complessità e originalità sconcertante nel bene e nel male, tipica della creatura umana, questo “ordine della carità”, affermata o negata, a una mera risultanza biologica, fermo restando che tutto questo non esclude i dati scientifici della paleontologia, dell’anatomia comparata, della zoologia, della genetica e della biologia molecolare, che confermano l’evoluzione progressiva delle varie forme strutturali del vivente (“l’ordine del corpo”, sempre per usare il linguaggio pascaliano).
Come è evidente, ormai siamo sul terreno teologico e qui iniziano a germogliare altri interrogativi che ci conducono alla comprensione “simbolica”, cioè unitaria e piena, della persona umana (si pensi solo al tema della libertà e del peccato). Noi ci fermiamo qui ribadendo che mai come oggi scienza e teologia, sapere e credere devono incrociare i loro diversi percorsi con serietà e serenità, senza facili concordismi o istintuali rigetti. Per noi credenti valga, allora, sempre l’appello che ci ha lasciato in una sua lettera sant’Agostino: Intellectum valde ama! L’amore appassionato per l’intelligenza, il sapere, il comprendere è fondamentale per la stessa fede che altrimenti si estinguerebbe in sentimentalismo, nella consapevolezza, però, che la verità è un Oltre che ci precede e ci supera.
E agli scienziati può essere ricordato l’invito che Benedetto XVI proponeva per travalicare “la limitazione autoimposta alla ragione solo a ciò che è verificabile nell’esperimento”, dischiudendosi all’orizzonte più ampio della verità.
In questa luce – continuava il Papa – “la teologia vera e propria, come interrogativo sulla ragione della fede e del senso ultimo della realtà, deve avere il suo posto nell’università e nel vasto dialogo delle scienze”.
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