da Il Messaggero, 20 luglio 2009
L’energia oscura dell’Universo
di Ugo Amaldi
QUATTROCENTO anni fa la Chiesa condannò Galileo per la sua visione eliocentrica dell’universo nel timore che questa ‘marginalizzazione’ dell’uomo erodesse la fede in Dio-Provvidenza. Ma né Galilei né Bellarmino potevano immaginare quello che sarebbe accaduto nei quattro secoli successivi.
Novant’anni fa l’astrofisico americano Harlow Shapley dimostrò che il Sole si trova ai margini della Via Lattea. Il passaggio dalla sua visione ‘galattocentrica’ a quella ‘cosmocentrica’ fu dovuto a Edwin Hubble che misurò la distanza della nebulosa Andromeda e concluse che essa è un’altra galassia. Poi, negli anni trenta, gli astrofisici si accorsero che le stelle periferiche di una galassia ruotano con velocità molto maggiore di quella che si calcola. Da questa osservazione segue che ognuna dei cento miliardi di galassie è immersa in un suo alone fatto di una sostanza sconosciuta che, non visibile ai telescopi, è detta ‘materia oscura’.
Infine nel 1998 fu osservato che l’universo – invece di rallentare progressivamente la propria espansione iniziata con il Big ang- un paio di miliardi di anni fa ha cominciato a espandersi sempre più rapidamente. Ciò è dovuto a una forza prima inosservata, che respinge lo spazio cosmico ed è stata chiamata ‘energia oscura’.
L’energia oscura e la massa oscura rappresentano, rispettivamente, il 73% e il 23% della massa-energia totale dell’universo. Cento miliardi di galassie fatti ciascuna di cento miliardi di stelle non sono dunque che un misero 4% della massa-energia totale del cosmo…
Novant’anni fa Sigmund Freud scriveva: “Nel corso del tempo l’umanità ha dovuto sopportare due grandi mortificazioni che la scienza ha arrecato al suo ingenuo amore di sé. La prima, quando apprese che la Terra non è al centro dell’Universo. La seconda mortificazione si è verificata quando la ricerca biologica annientò la pretesa posizione di privilegio dell’uomo nella creazione e gli dimostrò la sua provenienza dal regno animale e l’inestirpabilità della sua natura animale. La terza e più scottante mortificazione è stata inflitta nel ventesimo secolo dall’indagine psicologica, che ha rivelato che l’Io dell’uomo non è nemmeno padrone in casa sua.”
Come conseguenza di questa triplice mortificazione, la maggioranza degli scienziati e molti non-scienziati oggi aderiscono al ‘naturalismo monista’. Secondo questa posizione filosofica esiste soltanto la Natura, quale essa è descritta dai sempre perfezionabili modelli e teorie del sapere scientifico. Coloro che accettano i risultati della scienza e, allo stesso tempo, hanno fede nel Dio-con-noi della Torah scelgono, invece, quella visione che chiamo ‘naturalismo duale’. Essa è in grado di comporre in un quadro unitario la marginalità apparente dell’Homo sapiens nell’universo con la sostanziale centralità dell’uomo, oggetto dell’amore di Dio-Provvidenza. Senza entrare nei dettagli, mi limito a sottolineare che la scelta personale di aderire al naturalismo duale oppure al naturalismo monista non è mai basata su argomenti scientifici.
I problemi scientifici sono infatti soltanto una frazione delle domande generali che gli uomini si pongono. Nel rispondervi ciascun uomo impiega le tre componenti di una stessa e unica ratio: la razionalità scientifica – che risponde ai problemi scientifici, la ragione filosofica – che considera le questioni filosofiche e la ragionevolezza sapienziale – che si volge ai quesiti esistenziali. Una semplice metafora iconica permette di illustrare questa distinzione.
Le domande scientifiche sono rappresentate da pedine di uno stesso colore, blu per esempio, collocate all’interno di una linea chiusa disegnata su un piano molto vasto. Questo ‘confine’ lascia fuori le pedine verdi e rosse, che rappresentano gli interrogativi esistenziali e le questioni filosofiche.
Considero ora il moto di ‘trascendenza’ compiuto dalla ratio di colui che, partendo dai dati del mondo naturale studiati dalla scienza cioè dal ‘naturalismo’, attraversa metaforicamente il confine. Si danno due possibilità. Chi compie un passo di ‘trascendenza orizzontale’ sceglie il naturalismo monista ed nel farlo non è guidato dai risultati della scienza – racchiusi nel confine – ma è ‘attratto’ da ragioni filosofiche e/o da argomenti sapienziali oppure è motivato dalla propria esperienza esistenziale. Non è sostanzialmente diverso il comportamento di colui che – rispondendo alla sua diversa esperienza – compie un passo di ‘trascendenza verticale’ e, scegliendo un’opzione religiosa, aderisce alla visione ‘duale’ del naturalismo, che ricolloca l’uomo al centro dell’universo.
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