Ricordo di Benoît Mandelbrot
di Maria Maggi da L’Osservatore Romano, 31 dicembre 2010
L'”insieme di Mandelbrot” è un’immagine nota a tutti e ricca di fascino. Pochi, però, sanno come è nata e che cosa rappresenta. L’uomo che la ideò nel 1980, Benoît Mandelbrot, è morto proprio quest’anno (il 14 ottobre a Cambridge nel Massachusetts) a quasi 86 anni. Non si tratta di un artista, ma di un matematico geniale.
Mandelbrot, nato a Varsavia il 20 novembre 1924, lituano di origine, visse in Francia gran parte della sua vita. Ebbe un approccio visionario, assolutamente originale, alla geometria. Attraverso l’uso del computer creò la “geometria frattale”, più vicina della geometria tradizionale alla complessità del mondo naturale.
Il suo approccio è bene espresso nell’introduzione alla fondamentale opera The Fractal Geometry of Nature, dove ha scritto: “Perché la geometria è spesso considerata così fredda e arida? Un motivo sta nella sua inadeguatezza a descrivere le forme naturali. Nubi sferiche come palloni, monti conici come punte di matita e linee di costa disegnate col compasso non esistono nel panorama fisico. La complessità che si osserva in natura segna una differenza qualitativa, rispetto alla geometria ordinaria. Tale varietà di configurazioni è una sfida a studiare quelle forme che la geometria euclidea tralascia come “informi”, a investigare la morfologia dell’amorfo. I matematici hanno però respinto la sfida, scegliendo sempre più di liberarsi della natura, ed elaborando teorie che astraggono da tutto ciò che possiamo avvicinare con i nostri sensi”.
Mandelbrot decise di dedicarsi a questo campo dove non esisteva nulla di già sistematizzato e riuscì con i suoi studi a unificare alcuni remoti, ma ristretti, settori della matematica in un’unica disciplina attiva, infondendo nuova linfa a rami che da tempo sembravano inariditi.
“Frattali” (dal latino fractus, interrotto o irregolare) fu il nome che Mandelbrot diede alle forme matematiche “irregolari e autosimili” a varie scale, grandi e piccole. Per fare un esempio si può pensare all’albero che si biforca in due o tre rami principali, questi a loro volta si dividono in due o tre rami più piccoli, che continuano diramandosi ulteriormente in rametti e così via. Ogni rametto ha la configurazione dell’albero da cui è stato preso: è simile, ma non completamente nella sua difformità. Così si può pensare al nostro sistema circolatorio di arterie che si diramano in vasi più piccoli o alla struttura dei nostri bronchi. Altri esempi in natura sono i cavolfiori, che si possono pensare divisi in fiori ognuno dei quali è un cavolfiore in miniatura, e così via in subunità ancora più piccole, oppure, in un cammino opposto, al Sistema solare che fa parte della galassia, che appartiene a un ammasso di galassie, che a sua volta è membro di un superammasso.
La definizione di frattale, quindi, racchiude un’importante idealizzazione: a qualunque scala lo si osservi, il frattale presenta gli stessi caratteri globali. Con un microscopio (o viceversa telescopio) sempre più potente si può continuare a osservare un frattale e vedere di continuo la medesima struttura. Come ogni modello matematico, anche questo può apparire una semplificazione esagerata, ma consente effettivamente di approfondire la nostra rappresentazione della natura.
Gli studi di Mandelbrot sui frattali sono stati illuminati dalla scoperta, nel 1980 quando era ricercatore al Watson Research Center della Ibm, dell’insieme che porta il suo nome, di cui andava fierissimo.
Questo insieme si può descrivere in poche parole, perché si colloca al centro di una vasta distesa bidimensionale di numeri detta “piano complesso”. Quando si applica ripetutamente ai numeri una certa operazione, quelli all’esterno dell’insieme fuggono all’infinito, mentre quelli all’interno vanno alla deriva, ma rimangono sempre all’interno. Vicino al margine, una minuta coreografia di oscillazioni segna l’inizio dell’instabilità. È un regresso infinito di dettagli che stupisce per la sua varietà, la sua complessità e la sua strana bellezza.
Con l’aiuto di un programma relativamente semplice, un calcolatore può essere trasformato in una specie di microscopio per osservare il confine dell’insieme di Mandelbrot, effettuando “zoom” quanto si vuole a fondo. Da una certa distanza, l’insieme assomiglia a un tozzo otto, coperto di protuberanze. L’interno è nero, ma intorno c’è un alone di sgargianti colori. Avvicinandosi si scopre che ogni protuberanza è di forma molto simile a quella della figura genitrice. Zoomando ancora di più però ci si accorge che si frammenta in una miriade di filamenti arricciati e annodati. Ingrandendo un ricciolo si scopre che è costituito da coppie di spirali unite da ponti di filigrana. Questi a loro volta, ingrandendoli, rivelano la presenza di due riccioli dal suo centro. Continuando ancora si scoprono in varie zone insiemi di Mandelbrot in miniatura e seguitando sembra che riappaiono gli stessi oggetti, ma sempre con qualche differenza. La procedura può andare avanti all’infinito, infinitamente varia e bella in modo sconcertante.
Lo stesso Mandelbrot disse: “Euclide contemplava la pura bellezza. Ma per apprezzare a pieno quel tipo di bellezza è necessario un lungo e difficile tirocinio, forse anche una predisposizione naturale. E invece, al fascino dei frattali nessuno sembra insensibile, e molti riferiscono del loro primo incontro con la geometria frattale come di un’esperienza estetica, oltre che scientifica. In questo senso, i frattali non potevano essere più innovativi”.
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