da L’Osservatore Romano, 22 agosto 2010
Continuità e discontinuita dell’uomo in una visione evolutiva
Continuità e discontinuità caratterizzano la storia della vita
di Fiorenzo Facchini
Certamente il concetto di continuità meglio si armonizza con quello di gradualità evolutiva che Darwin considerava essenziale alla evoluzione, giungendo addirittura a dire che se così non fosse la sua teoria non avrebbe senso. L’attenzione sulle discontinuità è stata fortemente richiamata da Gould e Eldredge negli anni ’70 con la teoria degli equilibri punteggiati che sostiene un’alternanza fra periodi di rapida speciazione e periodi di stasi evolutiva. Rapidi cambiamenti ambientali possono rompere certi fronti evolutivi che si manifestano nelle serie dei fossili. Ma anche le novità genetiche, come quelle dovute a geni regolatori dello sviluppo, possono comportare sensibili cambiamenti evolutivi, espressioni di discontinuità.
Per quanto riguarda l’uomo la posizione di Darwin, esposta nell’opera “Le origini dell’uomo” e in quella successiva su “L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali” è molto chiara: “per quanto grandi siano le differenze tra l’uomo e gli animali, esse sono soltanto di grado non di qualità”. Questa posizione ispira largamente il modo di vedere il comportamento umano e animale da parte di molti studiosi, i quali applicano agli animali le stesse categorie tipiche dell’uomo, come coscienza, mente, libertà, in una promiscuità di linguaggio che non tiene conto delle differenze specifiche. Così facendo si annullano le identità.
Gli studi sul genoma mettono in evidenza che scimpanzè e uomo hanno in comune il 98% del genoma. Che cosa comporti la restante parte, benchè piccola, nessuno lo sa. Ma le differenze ci sono. I 6-7 milioni di anni che separano la storia evolutiva della linea umana e quella delle antropomorfe a partire da un ceppo comune non possono non avere comportato delle differenze. Ma dove possono essere cercate? Con quali modalità si sono stabilite? In continuità o con qualche discontinuità?
Sul piano biologico il processo di ominizzazione, che si è innescato intorno a 6-7 milioni di anni fa, ha comportato cambiamenti sensibili, individuabili nella struttura locomotoria e nell’aumento dell’encefalo nelle forme preumane e in quelle umane. Essi possono essere visti in una certa continuità e sono stati favoriti dall’ambiente aperto di savana, dal tipo di dieta e dallo stile di vita. Dove possiamo riconoscere delle discontinuità rispetto alle forme non umane è sopratutto nel comportamento caratterizzato dalla cultura che rappresenta per l’uomo del passato, come per quello di oggi, la grande differenza o discontinuità. Alcuni autori la riconoscono solamente in Homo sapiens degli ultimi 100.000 anni, al quale vengono riconosciuti il linguaggio articolato, l’arte e le sepolture. Un modo di vedere limitante, che non tiene conto di tante manifestazioni sul piano tecnologico e del peculiare rapporto con l’ambiente largamente documentate in periodi assai più antichi.
Anche la cultura espressa dallo strumento ottenuto da un nucleo di selce, intenzionalmente elaborato, manifesta una intelligenza astrattiva (Bergson, Piveteau). Anche lo strumento e l’organizzazione territorio può rivelare un significato. Si può parlare di simbolismo funzionale. La capacità di progetto e il simbolismo caratterizzano il comportamento tecnologico che per molto tempo del Paleolitico sembra la precipua manifestazione di cultura per poi arricchirsi con il tempo di gesti e interessi non riferibili a una pura tecnologia di sopravvivenza. In ogni caso non si tratta di proprietà riconducibili alla pura sfera biologica, come nel comportamento animale, perché rivelano intelligenza, progetto, autodeterminazione. Lo strumento è creato dall’uomo e viene modificato intenzionalmente nel tempo, così che si possono individuare le tappe della tecnologia. Un’attitudine che appare in discontinuità con il comportamento animale caratterizzato da stereotipia. E’ più importante il fatto della discontinuità che l’epoca in cui è incominciata. Alla discontinuità espressa nei prodotti della tecnologia si aggiunge quella che riguarda comportamenti slegati da qualunque strategia di sussistenza, come le espressioni di arte o religiosità o altruismo, più chiaramente riferibili a una sfera extrabiologica.
C’è un altro aspetto di discontinuità che è rappresentato dal rapporto con l’ambiente, sul quale ha particolarmente richiamato l’attenzione Theodosius Dobzhansky. Si debbono riconoscere modalità nuove rispetto al mondo animale. L’uomo mediante la tecnologia ha la possibilità di intervenire intenzionalmente nei processi di adattamento cambiando sia l’ambiente sia se stesso. In questo modo modifica e rallenta la selezione naturale. Si può parlare di discontinuità adattativa nella quale entra anche la selezione operata dalla cultura che si aggiunge alla selezione naturale, fortemente sottolineata da vari autori, tra cui ricordo Luca Cavalli Sforza. In questa discontinutità rientra la coevoluzione genoma-cultura alla quale è stata recentemente dedicata una documentata Review da Laland, Smee e Myles (Nature, February, 2010). In alcuni casi (come la correlazione tra la frequenza della tolleranza al lattosio e la diffusione del consumo del latte dopo il Neolitico) la coevoluzione gene-cultura è verificata; in altri casi le pressioni selettive culturali della dieta o dello stile di vita sui geni è soltanto supposta, ma con buoni argomenti. Va poi osservato che le responsabilità dell’uomo, oggi universalmente riconosciute, nella gestione dell’ambiente rappresentano una vera discontinuità, che si potrebbe definire ecologica, rispetto alle altre specie. Si direbbe che la centralità che la teoria darwiniana toglie all’uomo facendone un evento fortuito gli sia restituita sul piano ecologico.
Sia la discontinuità culturale che quella adattativa e ecologica suggeriscono un discontinuità di altro ordine, di carattere ontologico, che invece non viene ammessa in una concezione riduzionista. L’intenzionalità, l’autocoscienza, l’autodeterminazione si collocano su un piano diverso da quello biologico. Il senso religioso e morale, identificabile in certi comportamenti dell’uomo preistorico, suppongono capacità di valori e libertà di scelta. Essi non si riscontrano nel mondo animale e non sono riconducibili alla selezione naturale darwiniana, anche se possono affermarsi perchè utili all’uomo. Le attività di ordine mentale, la capacità di autodeterminazione in relazione a dei valori svincolano da determinazioni di tipo biologico e suggeriscono una dimensione spirituale.
Le discontinuità aiutano a cogliere la vera identità dell’uomo, che alla dimensione biologica aggiunge altre dimensioni: culturale (l’uomo, specie simbolica, secondo l’espressione di Deacon), ecologica (per la sua capacità adattativa e di gestione dell’ambiente) e spirituale. Sono le caratteristiche dell’essere umano. Su questa identità e unicità della specie umana si inserisce la riflessione filosofica e teologica che riferisce al Dio il passaggio dall’ominide non umano all’uomo in una sorta di “autosuperamento” della natura in virtù della causalità divina (Rahner).
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