da L’Osservatore Romano, 12 giugno 2010
Testimoni dello scandalo della fede di fronte al mondo
La veglia di preghiera di giovedì sera
Attività pastorale, teologia, celibato, culto e vocazioni. Sono i temi toccati da Benedetto XVI nel corso della veglia di preghiera svoltasi giovedì sera, 10 giugno, in piazza San Pietro. Il Papa li ha approfonditi rispondendo a cinque domande poste da altrettanti sacerdoti provenienti dai diversi continenti.
La prima è stata del brasiliano don José Eduardo Oliveira, che ha chiesto indicazioni su come affrontare le difficoltà che i parroci incontrano nel loro ministero. Il Pontefice ha riconosciuto che oggi è molto difficile essere parroco, anche e soprattutto nei Paesi dell’antica cristianità. Le parrocchie diventano sempre più estese: è impossibile conoscere tutti, è impossibile adempiere a tutti i compiti spettanti a un parroco. A questo proposito, il Papa ha sottolineato come sia importante che i fedeli vedano nel prete non solo uno che lavora, ma un appassionato di Cristo, pieno della gioia del Signore. Essere pieni della gioia del Vangelo è, infatti, la prima condizione necessaria. A essa seguono tre priorità: l’Eucaristia e i sacramenti, l’annuncio della Parola e la caritas, l’amore di Cristo. Oltre a queste tre priorità, ce n’è un’altra molto importante: la relazione personale con Cristo. Il Papa ha ricordato un testo di san Carlo Borromeo nel quale si invitano i sacerdoti a non trascurare la propria anima, perché – argomentava l’arcivescovo di Milano – se l’anima viene trascurata è impossibile dare agli altri quanto si dovrebbe dare. L’anima ha bisogno che le venga dedicato del tempo. Con altre parole, ha detto il Pontefice, la relazione con Cristo e il colloquio personale con Lui sono una priorità pastorale fondamentale, una condizione per il lavoro del prete a beneficio degli altri. E la preghiera non è una cosa marginale: è proprio del sacerdote pregare, anche come rappresentante della gente che non sa pregare o non trova il tempo di pregare. La preghiera personale soprattutto, ha evidenziato il Papa, è il nutrimento fondamentale per l’anima del prete e per la sua azione.
Successivamente Mathias Agnero, proveniente dalla Costa d’Avorio, ha chiesto al Pontefice spiegazioni sulla frattura tra teologia e dottrina, evidenziando l’esigenza che lo studio non allontani, ma alimenti la spiritualità. Benedetto XVI ha riconosciuto l’esistenza di una teologia che è arroganza della ragione e non nutre la fede, ma oscura la presenza di Dio nel mondo. Al contrario, c’è una teologia che vuol conoscere di più per amore dell’amato. Il Papa ha invitato i teologi ad avere coraggio, a non aver paura del fantasma della scientificità, a non sottomettersi a tutte le ipotesi del momento, ma piuttosto a pensare alla grande fede della Chiesa che è presente in tutti i tempi e apre alla verità. A una ragione debole, che accetta solo le cose sperimentabili, il Pontefice ha contrapposto una ragione grande, che ha il coraggio di andare oltre il positivismo e l’esperimento. Infine, il Papa ha sottolineato l’importanza del Catechismo della Chiesa Cattolica, nel quale si trova la sintesi della fede. Esso è veramente il criterio alla luce del quale si può valutare se una teologia è accettabile o non accettabile.
Lo slovacco don Darol Miklosko ha sollecitato poi Benedetto XVI a parlare del celibato anche di fronte alle critiche del mondo. Il Pontefice ha ricordato che il celibato è un’anticipazione della vita nuova, resa possibile dalla grazia e dalla risurrezione di Cristo. A questo proposito, il Papa ha detto che un grande problema della cristianità, del mondo di oggi, è che non si pensa più al futuro di Dio. Sembra sufficiente solo il presente di questo mondo. L’uomo aspira ad avere solo questo mondo, a vivere solo in questo mondo. E così chiude le porte alla vera grandezza della sua esistenza. Il senso del celibato come anticipazione del futuro, ha aggiunto, è proprio aprire queste porte, rendere più grande il mondo, mostrare la realtà del futuro che va vissuto da noi già come presente. Si tratta quindi di vivere una testimonianza di fede: crediamo realmente che Dio c’è, che Dio c’entra nella nostra vita, che possiamo fondare la nostra vita su Cristo, sulla vita futura. Riguardo alle critiche del mondo, il Pontefice ha detto che per chi non crede il celibato è un grande scandalo, perché mostra che il Signore va considerato come realtà e vissuto come realtà. Si tratta, ha affermato, di un grande segno della fede, della presenza di Dio nel mondo. Il celibato è un sì definitivo, un lasciarsi prendere per mano da Dio, un darsi nelle mani del Signore. Si tratta perciò di un atto di fedeltà e di fiducia, così come il matrimonio, che rappresenta la forma naturale dell’essere uomo e donna, il fondamento della cultura cristiana e delle grandi culture del mondo: se esso scompare – ha ammonito il Pontefice – va distrutta la radice della nostra cultura. Perciò il celibato conferma il sì del matrimonio con il suo sì al mondo futuro. Da qui l’appello di Benedetto XVI a superare gli scandali secondari, provocati da insufficienze e peccati dei sacerdoti, per mostrare al mondo il grande scandalo della fede.
Il giapponese don Atsushi Yamashita ha chiesto indicazioni su come vivere il culto senza cadere nel clericalismo ed estraniarsi dalla realtà. Benedetto XVI ha ricordato come il compito dei cristiani è l’essere uniti dall’amore di Cristo nell’unico corpo di Cristo: uscire da se stessi, lasciarsi attirare nella comunione dell’unico pane e dell’unico corpo, e così entrare nella grande avventura dell’amore di Dio. In questo senso, si deve celebrare, vivere, meditare l’Eucaristia come scuola della liberazione dal proprio io: essa, ha concluso il Pontefice, è il contrario del clericalismo, della chiusura in se stessi. Vivere l’Eucaristia nel suo senso originario, nella sua vera profondità, diventa così una scuola di vita e la più sicura protezione contro ogni tentazione di clericalismo.
Infine, l’australiano don Anthony Denton ha invitato Benedetto XVI a esprimere il suo pensiero sulla mancanza delle vocazioni. La tentazione più grande – ha detto il Pontefice – è quella di trasformare il sacerdozio, il sacramento di Cristo, in una normale professione, che ha il suo orario e i suoi tempi. In questo modo si cerca di renderlo più attraente e accessibile. Ma questa è una tentazione che non risolve il problema. Il Papa, allora, ha indicato tre direttrici di impegno: fare il possibile per vivere il suo sacerdozio così da essere convincente; dedicarsi alla preghiera; avere il coraggio di stare e comunicare con i giovani, per aprire il loro cuore all’ascolto della vocazione divina. Il Papa ha sottolineato l’importanza di parlare con loro e soprattutto di aiutarli a trovare un contesto vitale dove possano vivere la vocazione.
La veglia di preghiera era stata introdotta dall’arcivescovo Mauro Piacenza, segretario della Congregazione per il Clero, il quale aveva sottolineato la presenza di tanti sacerdoti intorno al Papa come una sorta di cenacolo, nel quale lo Spirito “rinnoverà, rinvigorendoli, i doni ricevuti nell’ordinazione sacerdotale”.
Prima dell’inizio della veglia, il cardinale Cláudio Hummes, prefetto della Congregazione per il Clero, aveva salutato Benedetto XVI a nome di tutti i sacerdoti presenti. “Vorremmo – aveva detto il porporato – che l’Anno sacerdotale non finisse mai, cioè che non finisse mai la tensione di ciascuno verso la santità nella propria identità e che in questo cammino, che deve iniziare fin dagli anni del seminario, per durare tutta l’esistenza terrena in un unico iter formativo, fossimo sempre confortati e sostenuti, come in quest’anno, dall’ininterrotta preghiera della Chiesa, dal calore e dal sostegno spirituale di tutti i fedeli, i quali, proprio con la loro fede nell’efficacia del ministero sacerdotale, sono così spesso di richiamo e di profondo conforto per ciascuno”.
Prima dell’arrivo del Papa in piazza San Pietro, vi erano stati quattro collegamenti. Il primo con Ars, da dove padre René Lavaur aveva offerto la sua testimonianza di parroco. Il secondo con il Cenacolo a Gerusalemme, con il vescovo ausiliare William Shomali che aveva parlato della centralità dell’Eucaristia nella vita del prete. Il terzo collegamento era stato da un barrio di Buenos Aires, dove svolge il suo ministero tra la gente padre José María di Paola, vicario episcopale della diocesi. Ultimo collegamento da Hollywood, dove il parroco monsignor Antonio Cacciapuoti aveva raccontato la sua esperienza pastorale.
Erano state presentate anche quattro testimonianze. La prima, della famiglia tedesca Heereman, con sei figli: un sacerdote, un religioso, una vergine consacrata, due sposati e una nubile. La seconda di Giuseppe Falabella, diacono della diocesi di Roma, alla vigilia dell’ordinazione. La terza di monsignor Giacomo Marchesan, vicario del patriarcato di Venezia per la vita consacrata. L’ultima di suor Maria Gloria Riva, delle adoratrici perpetue del Santissimo Sacramento, che aveva parlato dell’importanza della maternità spirituale.
Al termine, Benedetto XVI ha compiuto il giro della piazza in papamobile e ha concluso la veglia con la benedizione solenne dell’Eucaristia.
© L’Osservatore Romano
Lascia una risposta
Devi essere connesso per inviare un commento.