da L’Osservatore Romano, 16 maggio 2010
Il matematico eterodosso che sfidò la storia
In ricordo di Imre Toth
di Luca M. Possati
Può la matematica, scienza all’apparenza così fredda e statica, salvare la vita di una persona? Può la filosofia rendere ragione dell’esistenza di un uomo fino a redimerlo dall’abisso della prigionia e della persecuzione? Sì. Possono farlo. La vita di Imre Toth sta lì a dimostrarlo. Simbolo di un tipo d’intellettuale ormai scomparso, il filosofo romeno concepì le sue idee migliori sulla matematica non euclidea mentre era detenuto e condannato a morte. Come Ludwig Wittgenstein, che sui campi di battaglia della prima guerra mondiale scrisse il Tractatus, o come Paul Ricoeur, che durante la prigionia in Pomerania elaborò le linee essenziali della sua filosofia della volontà. Imre Toth era uno di loro: uomini salvati dalla creatività del pensiero. Uomini in cui la filosofia tornava alla sua antica vocazione: essere un modo di vivere.
Toth è morto mercoledì 12 maggio a Parigi. Di origine ebraica, era figlio di un ufficiale dell’esercito asburgico che aveva combattuto in Italia durante la prima guerra mondiale. Falsificò il suo nome da Roth in Toth per sfuggire alle persecuzioni dei nazisti. Studiò in un liceo cattolico e in seguito al seminario teologico rabbinico di Francoforte. Ottenne la specializzazione in matematica all’università di Cluj nel 1948. Entrato a far parte del Partito Comunista Romeno, partecipò alla resistenza contro il nazifascismo. “Per aver scritto su un muro “abbasso il fascismo, abbasso la dittatura, morte ai fascisti!” nel 1940 – ha raccontato in una recente intervista – fui arrestato e due anni dopo, nel 1942, fui condannato dal regime ungherese: avevo 21 anni, al processo mi trovai di fronte a una corte costituita da ben cinque giudici”. Naturalmente “la pubblica accusa chiese la pena di morte, ma non rimasi intimorito: sapevo che tale richiesta non era da considerarsi cosa seria”.
Radiato dal partito comunista romeno nel 1958 per aver avanzato critiche nei confronti del Governo, Toth non rinunciò agli studi, trasferendosi in Francia. Tenne corsi a Bochum, a Princeton, alla École Normale Supérieure di Parigi e in tante altre università sparse in tutto il mondo.
Nel campo degli studi filosofici Toth ha dato un contributo fondamentale nel fare chiarezza sui complessi rapporti che intercorrono tra la matematica, la geometria e la metafisica, e su come sia avvenuta l’elaborazione storica di una tale convergenza. Un contributo, beninteso, non soltanto di taglio meramente filologico e storiografico, bensì anche – e forse soprattutto – teorico in un’epoca come la nostra, segnata dalla crisi del paradigma matematico. In particolare, il merito degli studi di Toth sta nell’aver mostrato il significato ontologico della geometria non euclidea, cioè di quel tipo di geometria che deriva, per inferenza logica, dalla negazione del quinto postulato degli Elementi euclidei.
Ne Il problema delle parallele nel Corpus aristotelico (Das Parallelen-Problem in Corpus Aristotelicum, “Archive for History of Exact Sciences”, 3, 1967, pp. 249-422) Toth dimostra l’esistenza di significative tracce di una geometria eterodossa negli scritti dello Stagirita. L’opera capovolge in maniera decisiva la tradizionale interpretazione dei rapporti tra Aristotele e la storia della matematica proponendo una rilettura di passi in precedenza trascurati o malcompresi.
Attraverso un’attenta analisi dei testi Toth dimostra in un modo esaustivo e convincente che i fondamenti della geometria non euclidea hanno le loro radici storiche non in Gauss o in Lobacewskj, ma proprio in Aristotele. Una tesi ignorata (e spesso osteggiata) dai precedenti studiosi. Quei frammenti aprono la strada verso la riconquista di un mondo spirituale dimenticato: “L’ermeneutica dell’assiomatica moderna – ha scritto – è la chiave per la decodificazione dei suoi esordi”, In altre parole, “è l’interpretazione della geometrica non euclidea che si richiede per l’interpretazione del passato geometrico”. Proprio perché “il passato è nello spazio del presente, il presente è anche inevitabilmente il sistema referenziale della storia”.
Il mondo spirituale dimenticato a cui rinviano le tracce eterodosse in Aristotele è quello dell’Accademia platonica. Nel suo commento al Menone, Toth ha messo in luce come la “scuola” platonica sia stata uno dei maggiori centri di matematica del mondo antico e come in questo stesso ambito siano state elaborati contributi essenziali per lo sviluppo della geometria euclidea e per l’aprirsi di spiragli in direzione di possibili geometrie non euclidee. Attraverso una lunga e acuta analisi del dialogo platonico (Lo schiavo di Menone, Milano, Vita e Pensiero, 1998, pagine 130) Toth mostra l’essenzialità, per una corretta interpretazione dei passi della famosa dimostrazione geometrica dello schiavo, il recupero di una serie di presupposti matematici che vanno molto al di là di quanto possa immaginare il lettore medio. L’esperimento maieutico del Menone può essere paragonato a un dramma musicale infinito: i tre momenti in cui si articola presentano rispettivamente un protagonista della scena (l’Irrazionale), lo svolgimento del dramma (l’impossibilità di trovare la misura del lato del quadrato doppio attraverso il procedimento infinitesimale) e il suo lieto fine, che avviene con la costruzione geometrica mediante la quale si dimostra la congruenza, dunque l’uguaglianza in misura, del lato del quadrato doppio con la diagonale del quadrato dato.
In sintesi, Platone accetta l’Irrazionale ben consapevole delle potenti conseguenze metafisiche che quest’accettazione comporta.
© L’Osservatore Romano
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