da L’Osservatore Romano – 3-4 maggio 2010)
In silenzio davanti al mistero del dolore
La venerazione della Sindone in duomo e la visita al Cottolengo
dal nostro inviato Gianluca Biccini
In contemplazione silenziosa davanti all’icona di un mistero scritto con il sangue. Nei lunghi minuti trascorsi da Benedetto XVI in ginocchio davanti alla Sindone è riassunta tutta la visita pastorale compiuta domenica, 2 maggio, a Torino.
Dopo la messa del mattino in piazza San Carlo e l’incontro del pomeriggio con i giovani nella stessa cornice, il Papa ha sostato dinanzi alla venerata immagine esposta nel duomo torinese, in occasione della solenne ostensione di quest’anno. Per almeno cinque minuti si è soffermato a contemplare il telo sepolcrale, poi, in un clima di grande raccoglimento, ha offerto una profonda meditazione sull’attualità del messaggio della Sindone: “Icona del Sabato Santo” – l’ha definita – capace di parlare ancora all’umanità del nostro tempo, che sembra vivere sul baratro di una spaventosa sensazione di abbandono. All’uomo di oggi, che ha sperimentato l’oscurità di due conflitti mondiali, i lager e i gulag frutto di sistemi totalitari aberranti, la distruzione nucleare di Hiroshima e Nagasaki, il Pontefice ha spiegato che la Sindone porta un raggio d’amore, la luce di una speranza nuova che dà significato al dramma della sofferenza. Parole, queste, che hanno trovato un significato concreto nella successiva visita alla Piccola casa della Divina Provvidenza, in cui Benedetto XVI, nell’ultima tappa nel capoluogo piemontese, ha incontrato gli ammalati assistiti dagli eredi spirituali di san Giuseppe Benedetto Cottolengo.
Il Papa – sono parole sue – ha “molto atteso” questo appuntamento al cospetto del santo Sudario, che secondo la tradizione ha accolto il corpo di Gesù Crocifisso nel sepolcro. Mentre le campane del duomo suonavano a distesa, il parroco Giancarlo Garbiglia gli ha dato il benvenuto insieme con i canonici del capitolo metropolitano. Dopo l’adorazione eucaristica, Benedetto XVI ha venerato la Sindone, esposta sull’altare maggiore, percorrendo la stessa pedana su cui ogni giorno sfilano decine di migliaia di persone. C’era già stato in occasione dell’ostensione del 1998, guidando da cardinale prefetto il pellegrinaggio della Congregazione per la Dottrina della Fede e tenendo una conferenza pubblica al Teatro regio. Aveva poi parlato della Sindone a Rimini nel 2002, al meeting di Comunione e liberazione, e nel Venerdì Santo del 2005 quando aveva scritto le meditazioni per la Via Crucis al Colosseo. Ma stavolta ha confidato nella sua meditazione di sentire questo appuntamento “con particolare intensità”, perché come successore di Pietro ha portato nel proprio cuore a Torino “tutta la Chiesa, anzi tutta l’umanità”. Prima di lui Giovanni Paolo II aveva visitato la Sindone il 13 aprile 1980 e il 24 maggio 1998, quando l’aveva definita “uno dei segni più sconvolgenti dell’amore sofferente e dello strazio inenarrabile del Redentore”. Paolo VI invece non la vide mai direttamente, anche se ne incoraggiò la devozione; mentre Angelo Giuseppe Roncalli, il futuro Giovanni XXIII, ogni volta che passava da Torino andava a pregare nella cappella che l’aveva custodita per secoli.
Quella apertasi lo scorso 10 aprile è la prima ostensione del xxi secolo. Durerà fino al prossimo 23 maggio ed è già stata visitata da quasi mezzo milione di persone dei due milioni che sono attesi. A questi vanno aggiunti i circa centomila fedeli che ogni settimana passando dalla porta centrale del duomo possono vederla dalla navata: è un po’ più lontana, ma si può restare in contemplazione a lungo.
Dopo la meditazione per i presenti e per i tanti che hanno seguito l’avvenimento attraverso lo schermo di piazza San Giovanni, Benedetto XVI si è congedato dai membri del comitato della Sindone e dalle claustrali dei sedici monasteri della diocesi presenti in Duomo.
A dieci anni dall’ultima ostensione, lo “specchio del Vangelo”, come la definì Papa Wojtyla nel 1990, torna a interrogare le coscienze sul significato del dolore innocente. Quel dolore visibile nei corpi martoriati dei tanti ospiti della Piccola casa della Divina Provvidenza, nel quartiere Borgo Dora, dove si è concluso il viaggio apostolico del Papa. Prima di ripartire verso l’aeroporto di Caselle, da dove è decollato alla volta di Roma, il Pontefice ha incontrato gli ammalati e chi si prende cura di loro.
Poco prima, lungo il percorso, era passato davanti al santuario della Consolata, dove la statua mariana amata dai torinesi era esposta in segno di benvenuto al Papa. Perché in una Torino dalle molte anime, in ogni angolo si trovano tracce di una significativa presenza cristiana. Una presenza impressa anche nelle pietre. Come l’arco che reca la scritta Divina Provvidenza, voluta dai cottolenghini proprio per sottolineare il carisma del fondatore, la cui statua si trova sotto l’arco con il suo motto Caritas Christi urget nos.
Benedetto XVI è stato accolto dai superiori delle tre congregazioni della famiglia religiosa, padre Aldo Sarotto, fratel Giuseppe Meneghini e madre Giovanna Mansè. In una cappella laterale ha pregato davanti alle spoglie del fondatore (1786-1842), poi nella “chiesa grande”, dopo il saluto rivoltogli da padre Sarotto, ha tenuto il suo ultimo discorso della giornata torinese.
Infine ha benedetto alcuni ammalati, in un clima di gioiosa serenità nonostante i drammi che quotidianamente si consumano in questa cittadella della sofferenza. Nei 112 mila metri quadrati della struttura sono infatti accolte stabilmente duemila persone – tra ospiti e religiosi – e vengono distribuiti almeno tremila pasti al giorno: cinquecento per gli assistiti, duecento per i ricoverati in ospedale, quattrocento per la mensa dei senza fissa dimora e seicento per le suore, alcune delle quali anziane e bisognose di cure anch’esse.
“Tutto s’impara ai piedi della croce” amava ripetere il Cottolengo. E domenica Benedetto XVI ha riproposto a Torino proprio la lezione d’amore dell’uomo crocifisso, ricordando che la passione di Cristo è la passione dell’uomo. Passio Christi, passio homini, del resto, è il tema di questa ostensione della Sindone già consegnata alle pagine della storia.
© L’Osservatore Romano
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