Con una lettera indirizzata a Il Foglio, dal titolo Lettera sulla Scimmia, uno degli autori analizza l’editoriale che lo stesso giornale aveva pubblicato il 9 aprile, che profilava nel libro una possibile «rivincita del disegno intelligente».
Palmarini precisa però di dubitare, insieme a Fodor, “che ci sia in natura un qualsiasi disegno”, con la convinzione anzi che “anche se ci fosse non sarebbe molto intelligente”, dal momento che “gli esseri viventi abbondano di pasticci poco eleganti, come i geni per lo sviluppo dell’occhio nei ricci di mare, che occhi non hanno e, sempre nei ricci di mare, geni per la fabbricazione di anticorpi, anch’essi assenti in quella specie”.
Nella lettera, inoltre, Palmarini propone un tema fondamentale, non affrontato nel libro, ovvero “l’appartenenza della nostra specie al resto del mondo animale, di contro all’unicità dell’essere umano”. Un tema sul quale “la biologia ci dà segnali opposti” che ci costringe quindi sempre a compiere “una scelta culturale” che non è scientifica ma “metafisica, morale, estetica, atea o religiosa”.
Perché se “la scienza è una meravigliosa avventura, sempre in movimento, sempre rinnovantesi”, non possiamo né “dobbiamo sperare che le sue scoperte e le sue teorie decidano in vece nostra su questo importantissimo dilemma”.
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