da L’Osservatore Romano, 3-4 maggio 2010
La Sindone e Nietzsche
Anche a Torino il Papa è andato, come successore di Pietro, a confermare i suoi fratelli nella fede. Portando nel cuore tutta la Chiesa, anzi tutta l’umanità, come ha voluto dire esplicitamente dopo avere pregato davanti alla Sindone. Di fronte a questo oggetto sacro e misterioso – che è forse l’immagine più celebre del volto e del corpo di Cristo – Benedetto XVI ha sostato a lungo, avvolto da quel silenzio quasi irreale che colpisce ogni visitatore, pellegrino o solo curioso, nonostante l’imponente e incessante scorrere quotidiano di migliaia di persone.
Nella meditazione il Papa ha ricordato i racconti evangelici e una riflessione tratta dall’antica tradizione cristiana, perché il silenzio che promana dal telo – anche tra le centinaia di classi di bimbi stupiti portate dai loro insegnanti che in queste settimane sfilano nel duomo torinese – è lo stesso che avvolse la terra dopo la sepoltura del Signore: “Grande silenzio perché il Re dorme”, morto nella carne per scendere “a scuotere il regno degli inferi”.
Sono bastate queste parole di un’omelia dei primi secoli per muovere le parole di Benedetto XVI, fattosi ancora più sensibile al messaggio della Sindone – ha voluto confidare – per il passare degli anni. Parole che il Papa ha accostato a quelle di Nietzsche, tanto ripetute quanto stravolte: “Dio è morto! E noi l’abbiamo ucciso!”. Il grido del pensatore si alza quasi da una moderna via crucis, anticipando nella sua disperata lucidità gli orrori del Novecento, che invece molti ancora si ostinano a ignorare, nascondere, giustificare.
Ecco il vero mistero del segno racchiuso nell’enigmatico telo sepolcrale di cui Torino va orgogliosa: e cioè l’inaudita novità di colui che ha attraversato l’oscurità della morte ed è sceso negli inferi – là “dove regna l’abbandono totale” – per farvi risuonare la voce di Dio che ha vinto per sempre il male e la morte. Una realtà che anche i più piccoli e i più semplici possono capire: come la paura del buio provata da bambini che viene dissolta dalla presenza di chi li ama, ha spiegato Benedetto XVI, che ha il dono umano e spirituale di farsi capire da tutti.
E dal mistero della Sindone che parla con il sangue discende il suo potere, perché – ha detto il Papa con tutta la tradizione biblica – il sangue è la vita: l’immagine sul lenzuolo è infatti “quella di un morto, ma il sangue parla della sua vita”. E di questa vita ha ancora una volta parlato Benedetto XVI nei suoi incontri con i torinesi: annunciando colui che ha mostrato come bisogna amare e offerto “la certezza che non siamo soli”. Dio infatti “è vicino a ciascuno con il suo amore”: un amore, certo non confinato nel passato, che sa di dovere affrontare ogni giorno difficoltà e tribolazioni.
Sta allora a ciascuno – donne e uomini, giovani e anziani – imitare Cristo. Per “vivere e non vivacchiare”, secondo un’espressione di Pier Giorgio Frassati, caro non solo ai torinesi, che il Papa ha voluto ricordare ai giovani, ma parlando a tutti. È questo il messaggio che discende dal segno silenzioso della Sindone, da quella immagine drammatica ma serena che rappresenta la morte di Dio denunciata da Nietzsche. Di quel Dio che è sceso negli inferi per liberare dal laccio della morte ogni creatura umana.
g. m. v.
© L’Osservatore Romano
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