da L’Osservatore Romano, 1 maggio 2010
Quante mani su quel Lenzuolo
La Sindone agli occhi di un bambino
di Ferdinando Cancelli
Nella Torino operaia del 1978, ancora più grande, più misteriosa e più grigia per un bambino di nemmeno dieci anni con la mano nella mano di suo padre, già solo attraversare il centro per raggiungere il duomo era un’esperienza insolita. Tutto avvenne molto in fretta ma il tempo prese all’improvviso un altro ritmo: fummo in mezzo a una folla immensa che lentamente entrava e usciva dalla cattedrale come la sabbia di un’enorme clessidra.
Uno dei pochi ricordi e delle impressioni più vive che conservo di quella prima volta che vidi il sacro Lino è quello del volto e delle mani dell’Uomo che ha lasciato ad altri uomini il suo segno misterioso. Le mani di chi ha fatto “nuove tutte le cose”: macchiate di sangue ma così simili a quelle di mio padre che faticava tutti i giorni per portarci il pane! E poi il pensiero che anche quell’Uomo ha voluto darci un pane da mangiare, tutto se stesso.
Non ho mai fatto fatica a pensare a Gesù come a un papà anche grazie a quella vista chiara di bambino che si sarebbe impressa per sempre nella mia mente portando un desiderio vivissimo di tornare, un giorno, a rivedere la Sindone. Ma altre mani ci sono sul Lenzuolo anche se non si vedono: ci sono quelle di Maria che l’avrà piegato portando nel cuore il suo Gesù, ci sono quelle della madre Chiesa che da tanti secoli se ne prende cura e che, come la Madonna, gioisce nel dispiegare quel simbolo di vita agli occhi di tanti suoi figli che forse troppo spesso lo dimenticano.
Cucita, scucita, pulita, dipinta, fotografata, studiata, venerata: la santa Sindone è forse la reliquia più accudita di tutta la storia cristiana proprio perché sono le mani di Maria ad averla messa nelle nostre mani, nelle mani della Chiesa che opera, anche e soprattutto, contemplando. Ci sono anche le mani di tanti monaci e monache che da quasi due millenni, magari senza aver mai visto il Lenzuolo direttamente, si congiungono in preghiera per invocare sull’umanità la luce di quel volto martoriato ma vivo e per chiedere a Maria, tutte le sere, un’ostensione.
Et Iesum, benedictum fructum ventris tui, nobis post hoc exilium ostende pregano i monaci di tutte le latitudini prima del grande silenzio della notte, sicuri che al mattino i loro occhi si potranno saziare di quel volto e di quelle mani.
© L’Osservatore Romano
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