da Il Foglio, 29 dicembre 2009
Altro che Galileo. La nuova frontiera dentro la chiesa è la vertenza su Darwin
Negli ultimi giorni del 2009, Anno internazionale dell’astronomia (che celebra le prime osservazioni celesti di Galileo Galilei) e secondo centenario della nascita di Charles Darwin (che scrisse “L’origine delle specie” giusto centocinquant’anni fa), anche i teologi si ritrovano per parlare di evoluzione. Un tema su cui i cattolici sono divisi tra una maggioranza che accetta la vulgata e una minoranza che si proclama creazionista contro l’evoluzionismo imperante.
E’ di questi giorni il ritorno di fiamma di una polemica che ha come protagonista il vicepresidente del Cnr, Roberto de Mattei, reo di aver organizzato nel febbraio scorso un convegno molto critico sull’evoluzionismo i cui atti sono appena stati pubblicati dall’editore Cantagalli. Il matematico Piergiorgio Odifreddi, custode del darwinismo più dogmatico, lo ha attaccato a testa bassa. Da parte sua, il magistero ecclesiastico alterna solenni incontri ecumenici con gli scienziati a prese di distanza argomentate.
La querelle tra evoluzionisti e creazionisti è molto vivace. Ma chissà che all’Associazione teologica italiana (Ati), nei suoi tre giorni di studio romani (ieri il primo), non riesca un dribbling smarcante, una scintilla di novità. Sembra quasi prometterlo uno degli organizzatori, Giuseppe Accordini, docente di Epistemologia allo Studio teologico San Zeno di Verona, che riassume così per il Foglio il senso dell’iniziativa: “Non vogliamo una celebrazione di Darwin, ma un confronto duro che instauri un reciproco rispetto e indichi una direzione al cammino. Un cammino senza dubbio lungo che impone a ogni sapere di perseguire la sua identità nel tempo e nel conflitto delle interpretazioni, a cui si espone anche la rivelazione”. In altre parole, “il darwinismo più che una ferita narcisistica, di freudiana memoria, inferta all’uomo credente, è una domanda inevitabile alla filosofia, alla rivelazione e alla scienza sull’origine e sul destino dell’uomo e dell’universo, in se stessi e in un eventuale rapporto con Dio, e quindi sul loro risolversi in scontati eventi seriali o sul loro aprirsi a eventi irripetibili e singolari”.
Insomma, nessuna intenzione di beatificare Darwin né tantomeno alcuni suoi nipotini. Certo, tra i relatori del corso figura il teologo Carlo Molari, massimo esperto di Teilhard de Chardin che ha avuto i suoi bei problemi con le gerarchie. E anche gli altri, i filosofi Paolo Costa, Orlando Franceschelli, Simone Morandini, Stefano Semplici, lo scienziato-teologo domenicano Jacques Arnould, sono tutt’altro che creazionisti. Eppure non si respira aria di concordismo, quella conciliazione a buon mercato tra fede ed evoluzione che proprio Franceschelli ha definito “darwinismo ecclesiastico”.
Certo, per intendersi gioverebbe una disintossicazione lessicale. Bisognerebbe distinguere Darwin da darwinismo, evoluzione da evoluzionismo. Creazione e creazionismo non sono la stessa cosa e l’Intelligent Design americano è altra cosa dal creazionismo classico. Dio contro Darwin, o viceversa, più che una lotta impari è una fiction surreale. Tutto vero, eppure gli slittamenti semantici, che i mass media registrano quotidianamente, tradiscono l’effettiva posta in gioco. “Ciò che di fatto la questione dell’evoluzione pone in questione non è tanto l’offerta di una chiave di lettura scientifica, fondata e oggettiva, d’interpretazione della storia dell’universo, quanto, insieme a questo, la riproposizione dell’eterno interrogativo intorno all’identità e al destino dell’uomo, per sé immerso nel flusso di questa storia, certo, ma al tempo stesso decisamente eccentrico ed eccedente rispetto ad essa”, scrive il presidente dell’Ati Piero Coda nella prefazione a un recente libro di Alberto Piola, “Non litigare con Darwin” (Edizioni Paoline); di conseguenza “la controversia tra evoluzione e creazione non è che la spia di una correlazione tra sapere della fede e sapere delle scienze di cui ancora non si è trovato il bandolo”.
Una dialettica da non sottovalutare. Lo sosteneva già nel 1969 il teologo Joseph Ratzinger in una lezione dal titolo emblematico, “Fede nella creazione e teoria dell’evoluzione”: “Effettivamente il passaggio alla contemplazione evolutiva del mondo rappresenta il passo verso quella forma positiva della scienza che si limita consapevolmente a ciò che è dato, concreto, dimostrabile all’uomo ed esclude dalla sfera della scienza la riflessione sulle vere ragioni del reale come una riflessione
sterile. In questo, fede nella creazione e idea dell’evoluzione indicano non soltanto due diverse dimensioni di ricerca, ma due diverse forme di pensiero”.
Perciò il pensiero credente non può semplicemente giocare di rimessa. Secondo
Accordini, “la teologia non può limitarsi alla pura apologia della sua identità o ad un lodevole sforzo di mediazione, ma deve attrezzarsi per un dialogo rigoroso e coraggioso. La teologia, che nasce dall’ascolto intelligente della rivelazione di Dio, ma che necessita anche di strumenti di mediazione culturale e interagisce con la complessità dei contesti di vita, ha l’ambizione di mettere a fuoco una domanda fondamentale sull’uomo e sulla stessa natura dell’universo da cui l’uomo proviene e a cui fa ritorno”. Una domanda che si radica in mondi diversi. “C’è il mondo naturale dei greci, non creato da mano umana o divina: è una realtà viva, un fuoco che si accende e spegne a intervalli regolari; c’è il mondo della creazione biblica che ha Dio come mistero originario ed escatologico e si sviluppa in una progressiva separazione, promossa da parte di Dio, e in una crescente responsabilità di ritorno da parte dell’uomo; e poi c’è il mondo inventato e modellato dall’homo sapiens o faber, prodotto da una forza calcolante e determinante che decide direzione e senso ultimo”. In questa prospettiva, il darwinismo o meglio la teoria dell’evoluzione diventa una provocazione seria. Addirittura tragica quando si applica alle scienze sociali. E’ il cosiddetto “darwinismo sociale” (Herbert Spencer), una selezione economica della specie per cui sopravvive il più adatto cioè il più forte: l’antitesi del messaggio evangelico. La filosofa Hannah Arendt, che se ne intendeva, nel suo saggio sulle “Origini del totalitarismo” indicò nella “legge del movimento” di Darwin l’altra matrice, insieme a quella marxista, dei regimi totalitari.
E’ impossibile dunque parlare di origine senza fare i conti con l’evoluzione ma la teologia più avvertita vuole ribaltare l’assioma per chiedersi chi è l’uomo e, più concretamente, quando l’uomo diventa uomo. Quella che in termini tecnici si dice umanazione e sulla quale il professor Ratzinger, nella conferenza citata, disse parole illuminanti: “L’argilla divenne uomo nell’istante in cui un essere per la prima volta, anche se ancora in modo confuso, riuscì a sviluppare l’idea di Dio. Il primo tu che fu pronunciato – balbettando come sempre – nei confronti di Dio dalle labbra dell’uomo, indica l’istante in cui lo spirito era nato nel mondo. Qui fu attraversato il Rubicone dell’umanazione. Poiché l’uomo non è costituito dall’utilizzo delle armi o del fuoco né dalle nuove forme della crudeltà o dell’utilitarismo, ma dalla sua capacità di essere immediatamente in rapporto con Dio. Questo stabilisce la dottrina della particolare creazione dell’uomo. Soprattutto qui sta il centro della fede nella creazione. Sta qui anche la ragione per cui l’istante dell’umanazione non può essere fissato dalla paleontologia: l’umanazione è l’insorgenza dello spirito, che non si può dissotterrare con la vanga. La teoria dell’evoluzione non annulla la fede, e nemmeno la conferma. Ma la sfida a comprendere meglio se stessa e ad aiutare in questo modo l’uomo a capire sé e a diventare sempre più quello che deve essere: l’essere che può dire tu a Dio per l’eternità”.
Un essere meno evoluto di quanto sostengano i sacerdoti del darwinismo, almeno stando al grande teologo Karl Barth (la citazione è nel dépliant di presentazione del convegno Ati) che osservava disincantato: “L’homo sapiens è piuttosto mirabilmente stazionario, purtroppo paragonabile assai bene, nel suo agire e reagire, a uno di quei buoi che azionano gli argani muovendosi in circolo, senza la benché minima intelligenza”.
Marco Burini
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