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News febbraio 2010

Pace e giustizia in Africa esigono il rispetto del creato

da  L’Osservatore Romano, 24 febbraio 2010


Pace e giustizia in Africa esigono il rispetto del creato

A colloquio con il cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson

di Mario Ponzi

L’Africa è pronta a mettere tutte le sue risorse spirituali a disposizione della Chiesa e del mondo intero. In cambio chiede solo rispetto, amore, solidarietà. Tra gli interpreti di questo nuovo stile di servizio figura il cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson, dal 24 ottobre scorso presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace. La sua nomina alla guida di un dicastero tanto significativo si è aggiunta a quelle di altri sacerdoti africani chiamati a lavorare nella Curia romana. Un segno della grande attenzione con la quale Benedetto XVI segue lo sviluppo della Chiesa che è in Africa e della stima per i suoi figli. Ne abbiamo parlato con il cardinale in questa intervista.

Cosa e come potrà rispondere l’Africa alle attese della Chiesa universale?

Effettivamente i segnali di quanto lei afferma sono stati tanti. Vorrei ricordare qui l’accoglienza da parte di Benedetto XVI del desiderio del suo predecessore, Giovanni Paolo ii, di indire una seconda assemblea speciale per l’Africa del Sinodo dei vescovi; la visita pastorale per trasmettere l’Instrumentum laboris di quel sinodo; la sfida proposta ai capi di Stato africani a proposito del buon governo; la sua presenza quasi quotidiana ai lavori del sinodo; l’invito all’Africa ad amare i suoi valori, autenticamente umani; l’aver definito il continente “polmone sano dell’umanità”; l’invito rivolto agli africani a evitare gli elementi tossici di culture straniere, come il relativismo e il secolarismo ateo; infine proprio la recente affermazione, nel discorso alla Curia romana, a proposito del grande interesse che la Chiesa universale nutre per l’Africa. Sono tutte cose che dimostrano ampiamente il grande amore e la sollecitudine personale del Papa per l’Africa. Per questa dimostrazione di affetto, la Chiesa in Africa sarà eternamente grata.

E al di là della gratitudine?

La gratitudine si fa preghiera per e nella Chiesa universale, ma anche condivisione, attenzione, amore e sollecitudine pastorale per le altre Chiese. In questa sollecitudine c’è anche un po’ di preoccupazione. Per molti anni le Chiese di più antica tradizione, come quelle europee e quelle dell’America del nord, con i loro missionari hanno contribuito a stabilire le Chiese in Africa e sono divenute in un certo senso “antenati nella fede” per le locali comunità cristiane. La Chiesa in Africa oggi spera che le Chiese europee, e in parte quelle americane, le risparmino di farla sentire come una “Chiesa orfana”. Un pericolo reale se dovesse prevalere la tendenza all’abbandono della fede che sempre più sembra diffondersi nelle terre degli antichi missionari, gli stessi che un tempo lasciarono le loro case per venire a annunciare il Vangelo nella nostra terra. Oggi le Chiese d’Africa provano sentimenti di pietà filiale di fronte a certe situazioni e si sentono in dovere di sostenere le Chiese nelle terre d’origine dei loro missionari, anche con le loro misere risorse che possiedono. Spesso inviano uno dei loro sacerdoti per evitare che una chiesa di antica data debba chiudere per mancanza di preti. Per questo ci sono sempre più sacerdoti africani nel mondo. Ed è una grazia del Signore.

In questo suo nuovo incarico quanto conta l’esperienza maturata in un continente la cui storia, anche recente, è spesso segnata da conflitti, dalla mancanza di una pace duratura e dalla continua ricerca di giustizia?

Porto con me, naturalmente, tutto quello che ho vissuto nel continente africano che, come dice lei, ha sempre dovuto soffrire per la mancanza di una pace duratura ed è alla continua ricerca di giustizia. La cosa che più ferisce l’Africa, però, è proprio il fatto che agli occhi del mondo essa appare come se fosse una piccola zona di campagna omogenea, nella quale ogni problema riguarda tutti. Gli africani apprezzerebbero molto di più se quelli che si occupano o parlano dell’Africa prendessero coscienza del fatto che si tratta di un grande continente composto da cinquanta Stati, con diverse culture, storie, economie, esperienze politiche. Anziché continuare a parlare genericamente di un’Africa che ha sempre dovuto soffrire per la mancanza di pace, si dovrebbe parlare di alcuni Paesi dell’Africa che patiscono per queste situazioni. E sarebbe ancora meglio se i Paesi fossero specificati. Sembrerebbe un esercizio inutile, ma contribuirebbe a frenare quella tendenza a generalizzare eccessivamente eventi ed esperienze del continente e a non parlare più solo in base a stereotipi. È di questo che l’Africa ha sempre sofferto.

Tuttavia nella maggior parte dei Paesi africani si soffre a causa di lotte, spesso fratricide, e di soprusi, spesso venuti dall’esterno ma favoriti da africani compiacenti.

Indubbiamente. Certe situazioni sono note a tutti. Come è noto a tutti che, a parte quelle che possiamo considerare cause naturali – come l’ambiente ostile dei deserti e delle foreste pluviali – la mancanza di pace e di giustizia in alcune parti del continente non è da imputare al cuore africano. Essa ha principalmente a che fare con la politica, con il malgoverno, con l’esasperazione delle differenze etniche e religiose, con l’economia che mantiene l’Africa nella mera condizione di “mercato” per i Paesi manifatturieri, con le necessità che il mondo ha delle sue risorse minerarie, con le nuove forme di colonialismo, quando non di schiavitù, e con le imposizione di natura religiosa. E gli africani cominciano a prendere coscienza di questa realtà. Può essere utile rileggere quanto scritto, a questo proposito, da un quotidiano africano qualche tempo fa:  “È tempo di smettere di colpire i lettori allo stomaco, mostrandogli solo immagini raccapriccianti delle miserie e delle disgrazie dell’Africa. Non è producente. È ora di riconoscere che lo sviluppo dell’Africa è nell’interesse di tutti. Correttezza, veridicità e un senso di solidarietà da parte del resto del mondo quando tratta con i Paesi dell’Africa ripristinerebbero la pace e la giustizia in Africa e sono virtù che l’esperienza africana potrebbe trasmettere, contribuendo al senso di pace del mondo”.

A proposito di pace il messaggio di quest’anno, per la Giornata mondiale, sottolinea il rapporto con la difesa del creato. Quali testimonianze in proposito può dare l’Africa?

La solidarietà è certamente una delle virtù attraverso le quali l’Africa può contribuire a dare un senso alla ricerca della pace nel mondo. Questo vale non solo per quanto riguarda il rapporto con le altre Nazioni e con altri popoli – in virtù del quale la solidarietà si traduce in sollecitudine e responsabilità reciproche – ma anche per quanto riguarda il rapporto fra umanità e creato. La tutela del creato, auspicata dal Papa, si riferisce all’abuso causato dal degrado, dall’inquinamento, dalla deforestazione, dallo smaltimento di rifiuti anche tossici. In questo senso, diversi Paesi in Africa sono colpevoli di abuso del dono del creato. Oltre agli esecrabili esempi di cittadini africani che accettano denaro da Paesi europei per fornire loro discariche di rifiuti industriali tossici, i più gravi abusi dell’ambiente si registrano nelle zone minerarie, nelle aree di estrazione petrolifera e di taglio degli alberi. Così come vengono realizzate attualmente queste attività costituiscono una minaccia grave per l’esistenza umana. Impoveriscono le terre, privano il terreno della copertura organica e vegetale, provocando con ciò la distruzione di quanto è necessario alla coltivazione degli elementi necessari all’alimentazione. I prodotti chimici utilizzati nell’estrazione di alcuni minerali sono talmente tossici da contaminare irrimediabilmente l’acqua e, di conseguenza, causano avvelenamento di diverse forme di vita da cui dipende l’esistenza umana. Nel caso dell’estrazione petrolifera è il petrolio stesso a contaminare l’ambiente e a renderlo privo di vita. Il taglio incontrollato degli alberi non è solo una mancanza di rispetto per la terra, ma anche una minaccia per tutte le forme di vita perché interrompe il ciclo idrologico e riduce sempre più le risorse idriche della terra. La dipendenza della vita umana dal creato reclama dunque solidarietà fra uomo e natura e richiede un uso giudizioso e responsabile delle risorse naturali. In molti Paesi questo rapporto tra uomo e natura è regolato da leggi e accordi precisi. Dove ciò non avviene, come in certe regioni africane, l’abuso del creato diviene una vera minaccia per la vita e per la pace dell’umanità.

Non a caso il Papa nel suo messaggio invita a cambiare stile di vita.

Il Papa sa che non basta solo il ricorso a leggi o ad accordi sull’uso giudizioso e responsabile del dono del creato. Occorre innanzitutto, per un’autentica salvaguardia, il rispetto dell’umanità per l’ambiente. Per questo esorta all’applicazione di “nuove forme di impegno” e ad agire secondo “norme chiaramente definite” nel rapporto fra uomo e dono del creato. Tuttavia queste norme devono essere espressioni di stili di vita modificati, “modi di vivere improntati alla sobrietà e alla solidarietà”, nuovi modelli di sviluppo e di consumo. Quindi quello auspicato dal Papa è certamente un cambiamento negli atteggiamenti, nei sistemi di valori e nei modi di vivere. Egli reclama “un profondo rinnovamento culturale” che implichi una “revisione profonda e lungimirante del modello di sviluppo”, un impegno per il diritto delle persone all’acqua, all’alimentazione, alla salute, all’aria pulita, a nuove fonti di energia, e un senso di amministrazione responsabile del creato che rifletta la solidarietà dell’uomo con i poveri, con altri utenti dei beni della terra e con le generazioni che verranno. L’esortazione del Papa significa innanzitutto che gli atteggiamenti e i comportamenti umani sino a oggi prevalenti nei confronti del creato si sono rivelati fallimentari, miopi ed egoistici. C’è urgente necessità di un’altra luce guida, di un’altra ratio e di un altro principio di discernimento. Questa ratio e questo principio di discernimento non sono altro che ciò che ha trasformato il chàos in còsmos, la Parola di Dio.

In questo periodo fa molto discutere, e non solo in Africa, la questione dell’acqua. Sarà proprio l’acqua, secondo lei, il prossimo fronte caldo da affrontare?

Forse sì. Effettivamente l’acqua e la sua disponibilità sulla terra costituiscono oggi un problema per l’umanità. La scarsità d’acqua colpirà in maniera veramente grave l’Africa e diverse altre regioni tropicali in un futuro prossimo. Diversi fattori concorrono alla crisi idrica che incombe sul pianeta. Il più noto oggi è il riscaldamento globale. Si stanno riducendo rapidamente le scorte idriche tradizionali nelle calotte glaciali e nelle coltri glaciali delle regioni polari. I ghiacciai si stanno sciogliendo velocemente e l’acqua che ne deriva non va ad aumentare le risorse idriche della terra, ma a innalzare il livello del mare e a rendere le acque sotterranee costiere saline e non potabili. La desertificazione è, allo stesso tempo, causa ed effetto della scarsità d’acqua. Ad aggravare la situazione contribuiscono il taglio degli alberi, metodi sbagliati di coltivazione, un eccessivo sfruttamento dei pascoli, la dipendenza dal legname come combustibile ed energia, pratiche che privano la terra della sua copertura vegetale. Paradossalmente, è stato scoperto di recente che nel Sahara c’è un’enorme riserva d’acqua sotterranea. Dunque, l’elaborazione di una tecnologia in grado di riportare l’acqua sulla superficie del Sahara potrebbe essere un aiuto decisivo per l’Africa. Così come decisivo sarebbe porre un freno al taglio incontrollato di intere foreste e all’inquinamento delle fonti d’acqua tradizionali attraverso l’uso di materiale tossico. È tutto questo che rende l’Africa la prima vittima potenziale di un’imminente crisi idrica sul pianeta. A meno che non vi sia una drastica revisione dei metodi e delle forme di tutta l’attività umana sul continente.

Nel suo discorso alla Fao, il Papa ha denunciato lo scandalo degli enormi sprechi alimentari, sufficienti da soli a sfamare il mondo. Eppure c’è chi utilizza l’argomento della scarsità di risorse alimentari per promuovere l’uso di tecniche e metodi di coltivazione presentati come risolutivi. Cosa ne pensa?

La ricerca scientifica, come le acquisizioni tecnologiche, tende certamente a migliorare la vita umana e la sua condizione. Tuttavia è impensabile che non nasconda anche mire di guadagno e di acquisizione di vantaggi da parte di qualcuno, anche sotto forma di controllo, di dominio e di sfruttamento. È chiaro che per fare ricerca c’è bisogno di finanziamento. Inaccettabile è però che il vantaggio ottenuto dalle scoperte diventi occasione di enormi profitti e causa di sfruttamento. Purtroppo questo è l’atteggiamento che domina nel mondo degli affari e giustifica comportamenti irresponsabili come la distruzione di risorse alimentari per mantenere alti i prezzi di mercato. Questo è lo scandalo che il Papa ha denunciato nel suo discorso alla Fao. Alla luce di quanto detto, è chiaro che proporre come soluzione ai problemi della fame nel mondo e delle carestie tecniche che non tengono conto della biodiversità delle coltivazioni africane o prevedono l’uso di organismi geneticamente modificati (ogm) non può che suscitare sospetti sulle reali intenzioni. Faccio un esempio. Un contadino africano che utilizza semi di mais conservati dal raccolto dell’anno precedente, forse avrà una resa leggermente più modesta di quella ottenuta con gli ogm. Sicuramente, però, non dovrà sborsare alcuna somma di denaro per l’acquisto dei semi. E soprattutto la sua attività non dipenderà da fattori esterni condizionanti, come la capacità e la volontà produttiva di aziende multinazionali. La vera domanda che ci si dovrebbe porre è un’altra:  è proprio impossibile, per il governo di un Paese cosiddetto affamato, adottare iniziative in grado di assicurare nutrimento per i propri cittadini senza scendere a compromessi? Credo che basterebbe uno sforzo minimo di buona volontà politica e di amore per il proprio popolo. Un altro piccolo esempio:  il Burkina Faso è molto più vicino al deserto rispetto alla parte settentrionale del Ghana. Pochi fiumi percorrono il suo territorio, quindi ha meno acqua del Paese confinante. Eppure ha messo in campo un programma di dighe, pozzi e irrigazione talmente efficiente da consentirgli di coltivare oggi alcune specie di frutti, verdure e ortaggi che il più florido Ghana non si può permettere di produrre con le sue attuali strutture. Non credo servano altre parole.

© L’Osservatore Romano

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