da L’Osservatore Romano, 17 settembre 2009
Astronomi del Papa, con la testa tra le nuvole alla ricerca di Dio
Benedetto XVI visita la nuova sede della Specola Vaticana
di Francesco M. Valiante
Al confine tra fede e scienza, tra Chiesa e mondo. La Specola Vaticana cambia casa e per gli astronomi del Papa il trasloco è questione di appena un pugno di chilometri: giusto quelli che separano il Palazzo Pontificio di Castel Gandolfo, concesso loro da Pio xi nel 1935, dalla nuova sede del monastero delle basiliane, situato nel punto in cui l’estremo lembo meridionale delle Ville Pontificie lascia il posto al territorio di Albano. Ma per il gesuita argentino José Gabriel Funes, direttore dell’Osservatorio dal 2006, c’è anche qualcosa di più. “In questa collocazione – spiega al nostro giornale – mi sembra di poter leggere quasi una metafora della missione della Specola: dentro la Chiesa, vicini al Papa, ma sulla frontiera con il mondo, aperti al dialogo con tutti, con chi crede e con chi non crede”.
Benedetto XVI visita mercoledì sera la vostra nuova sede. Che significato ha questo gesto ?
Direi che è anzitutto un segno della considerazione che la Chiesa e lo stesso Pontefice hanno nei confronti della Specola. Ed è una nuova tappa nel cammino della nostra lunga storia: consideri che dal 1891, anno in cui Leone xiii ha rifondato l’Osservatorio, questa è la quarta sede che cambiamo. Senza contare che dal 1981 la Specola ha anche un secondo centro di ricerca a Tucson, in Arizona.
Com’è strutturata la nuova sede?
Nei locali del monastero delle basiliane, che sorge nella storica piazza Pia di Albano, sono stati trasferiti anzitutto gli uffici e la biblioteca. Nell’edificio c’è anche la sala conferenze, la zona scuola e la residenza della comunità dei gesuiti. Abbiamo poi una foresteria per gli ospiti, destinata ad accogliere studiosi e ricercatori. Nella nuova sede sono stati portati inoltre la collezione di meteoriti e alcuni oggetti preziosi, come antichi telescopi e astrolabi.
Resta ancora qualcosa nel Palazzo Pontificio ?
Restano anzitutto i due telescopi più grandi sotto le cupole della terrazza – quello visuale Carl Zeiss e il doppio astrografo – che saranno utilizzati ancora per scopi didattici. E poi nelle Ville Pontificie rimangono altri due strumenti di osservazione di grande valore storico: il telescopio Schmidt, che veniva usato per la ricerca prima della fondazione del centro in Arizona, e il telescopio detto Carte du ciel. Soprattutto quest’ultimo riveste un significato particolare, perché si tratta di uno dei primi grandi progetti astronomici realizzato a livello internazionale, a cui la Specola ha partecipato come partner. In attesa di restaurarlo e di inserirlo in un futuro museo dell’astronomia – che speriamo di realizzare a Castel Gandolfo – il telescopio costituirà uno dei pezzi forti della mostra che si apre il prossimo 15 ottobre presso i Musei Vaticani.
Di che cosa si tratta ?
In occasione dell’Anno internazionale dell’astronomia, proponiamo un percorso attraverso la storia dei telescopi e degli strumenti di osservazione, con oggetti di grande pregio che provengono per la maggior parte da osservatori italiani. Altri sono stati messi a disposizione dalla Specola, altri ancora dagli stessi Musei Vaticani, come le splendide tavole dipinte da Donato Creti (1671-1749) raffiguranti le osservazioni astronomiche. La mostra – che si concluderà il 16 gennaio prossimo – è organizzata in collaborazione con l’Istituto nazionale di astrofisica.
Ci sono altre iniziative in programma per i prossimi mesi ?
Ce ne saranno diverse. Ricordo solo quella più vicina: dal 6 all’11 novembre, insieme con la Pontificia Accademia delle Scienze, abbiamo organizzato nella Casina Pio iv un convegno sull’astrobiologia. Sarà un incontro per specialisti, dedicato al tema della ricerca della vita nell’universo.
Un tema a lei particolarmente congeniale, a giudicare dall’eco che lo scorso anno hanno avuto le sue affermazioni sulla possibilità di credere in Dio e nell’esistenza di altri esseri nell’universo. Non ha cambiato idea in questi mesi ?
Certamente no. Anzi, le dirò di più: ho scoperto che cose non diverse da quelle che ho detto le sosteneva già due secoli fa padre Angelo Secchi (1818-1878), astronomo gesuita direttore dell’Osservatorio del Collegio Romano, primo scienziato a classificare le stelle in base ai loro spettri.
Questo vuol dire che non è lontano il momento in cui l’uomo potrà incontrare altre creature extraterrestri ?
Andiamoci piano. Anche se non si può escludere a priori questa possibilità, ritengo che sia molto difficile pensare di poter stabilire un contatto del genere. C’è l’ostacolo quasi insormontabile delle distanze nell’universo. Ma a escluderlo è anche l’evoluzione dello sviluppo scientifico: basti considerare che con l’attuale tecnologia già facciamo fatica ad andare oltre il sistema solare.
Comunque nessun pentimento o scomuniche ?
Finora non ho ricevuto convocazioni dalla Congregazione per la Dottrina della Fede o dalle autorità accademiche. Scherzi a parte, come scienziato resto sempre pronto ad aggiornare le mie idee di fronte a ulteriori acquisizioni della ricerca. Per esempio, sul tema dell’estensione spaziale e temporale dell’universo. Che io giudico finito – ha 14 miliardi di anni – ma che altri invece ritengono infinito. Ci sono teorie interessanti in proposito – per esempio quella del cosiddetto multiverso – anche se finora restano meramente speculative: il problema è come provarle.
Ma l’astronomia è più scienza empirica o filosofia di vita ?
Direi che i confini tra l’astronomia e la filosofia o la teologia non sono sempre così netti. Lo vediamo, per esempio, nelle scuole estive che organizziamo per i giovani. Si capisce che gli studenti hanno dentro domande che vanno oltre l’interesse meramente scientifico. Nel giugno scorso abbiamo tenuto a Sassone un convegno con i nostri ex alunni e abbiamo dedicato un intero pomeriggio a discutere dell’astronomia come strumento di dialogo tra gli uomini. I giovani si aspettano sempre qualcosa di più del semplice dato empirico.
E che cosa può offrire loro l’astronomia ?
Tanto per cominciare, può aiutarli a comprendere che tutti gli uomini della terra sono sotto lo stesso cielo e guardano lo stesso cielo.
Questo è solo un punto di partenza. E poi ?
Può educarli alla collaborazione. È evidente che oggi non si può fare ricerca senza collaborazione. Un Paese da solo non può costruire un grande telescopio: è necessario lavorare con altre persone, anche di altra religione o cultura. Ecco come l’astronomia può porsi al servizio del dialogo.
Ma è possibile oggi una collaborazione tra Paesi segnati da enormi disparità sociali e culturali ?
Questa è la sfida più grande che ci sta davanti. Dobbiamo trovare il modo di coinvolgere anche i Paesi più poveri. Il mio sogno è che si aiuti soprattutto l’Africa, attraverso progetti educativi e formativi. Uno dei problemi più gravi è proprio l’ignoranza, che incide anche nel rapporto con la religione, dando origine a estremismi e fondamentalismi.
Guardando continuamente il cielo l’astronomo non rischia di dimenticare che c’è anche un mondo a cui pensare ?
Per questo io dico che bisogna avere gli occhi puntati verso l’alto ma i piedi per terra. Oggi ci sono urgenze drammatiche. Interi popoli non hanno neanche il necessario per sopravvivere: e la nostra risposta non può essere, ovviamente, quella di costruire un telescopio. Però la ricerca scientifica richiede una cultura dello sforzo, del lavoro. E questo può essere utile soprattutto ai giovani.
Perché un giovane dovrebbe trovare interessante l’astronomia ?
Io posso solo dirle che avevo appena sei anni quando il primo uomo è arrivato sulla luna. Da qui è nato il mio interesse per l’astronomia. Così a 14 anni ho deciso: voglio fare l’astronomo. Sarebbe bello che tutti i ragazzi avessero questa possibilità. È importante motivarli verso questo tipo di interesse, anche perché i messaggi che ricevono oggi sono di tutt’altro genere.
Vale a dire ?
Secondo una mentalità diffusa, per diventare uno scienziato bisogna essere per forza atei. Non è vero. Lo ha detto molto bene il Papa nella messa dell’Epifania, quando ha ricordato i “non pochi scienziati che – sulle orme di Galileo – non rinunciano né alla ragione né alla fede, anzi, le valorizzano entrambe fino in fondo, nella loro reciproca fecondità”. Io ho scelto di fare l’astronomo perché credo che nell’universo è possibile trovare Dio. E continuo a farlo con la stessa convinzione.
© L’Osservatore Romano
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