Pubblichiamo la seconda parte dell”intervista-colloquio di Paolo Centofanti, Direttore SRM, con il Prof. Adriano Dell’Asta, Vicepresidente della Fondazione Russia Cristiana e docente di Letteratura Russa all’Università Cattolica di Milano, sulla figura di Padre Pavel Florenskji.
L’immagine di apertura della mostra “Nulla va perduto”, dedicata a P. Pavel Florenskji, è uno scenario naturale, un paesaggio russo.
Qual’è il rapporto tra Pavel Florenskji e la natura ?
E’ un rapporto fondamentale; Padre Pavel era colpito dalla bellezza e dalla maestosità della natura, era colpito dalla bellezza e dalla grandiosità del creato; e questo costantemente lo rimandava al significato delle cose. La natura, dicevamo, è qualcosa che gli desta immediatamente il senso di stupore e del mistero, e la percezione netta, precisa, oggettiva, della presenza di qualcuno che ha messo al mondo quella natura. E ogni cosa creata è quindi per lui un reinvio a qualcos’altro di più grande.
E’ una caratteristica tipica dell’uomo religioso, e diversa dall’uomo contemporaneo che vive da una parte avendo i fatti, e dall’altra, separato, il significato che lui stesso attribuisce a tali fatti. Per Florenskji, per l’uomo religioso, il fatto è realmente tale se gli diamo un significato. Le cose restano, ce le ricordiamo, se le viviamo con un significato; altrimenti “passano” come se non significassero nulla.
E il rapporto di Florenskji con la natura è quindi proprio un rapporto in cui la natura “parla”, la natura mi rimanda a qualcos’altroLa natura cioè, le cose create, hanno importanza, hanno preziosità, esattamente perché mi rimandano all’Eterno. Lo stesso Florenskji, ricordando le sue passeggiate, le sue gite di ragazzo in questi paesaggi incredibili, diceva: “la mia sensazione era esattamente che l’eternità fosse li con me”.
E’ questa una concezione del mondo nello stesso tempo assolutamente realista, perché c’è questa coscienza che le cose non sono create da me, e nello stesso tempo fortemente simbolica: ogni realtà mi rimanda ad una realtà più alta. “A realibus ad realiora”. Era un motto di poeti simbolisti, ed è sicuramente un motto che P. Florenskji avrebbe fatto suo.
Quindi è una conoscenza dicevo realistica e simbolica nello stesso tempo, in cui dalle cose reali si sale alle cose più reali ancora. Ogni realtà è simbolo. Con una precisazione importante: che una volta che si è giunti alla realtà ultima, al Creatore, il simbolo non viene “gettato via”. Ovvero: una volta che dalla Natura sono salito al suo Creatore, non mi dimentico la natura stessa; anzi, ho un rapporto con la natura, con le cose create, di assoluto rispetto. Perché le cose create, la natura, gli uomini, tutto, mi rimandano a Dio, al senso dell’essere. E se tengo al senso dell’essere, che è ciò che giustifica la mia esistenza, che mi fa vivere, non posso rinunciare a nulla della natura, del creato.
Quindi, potremmo dire, non un ecologismo ante litteram, ma un senso dell’ecologia come senso della necessità ?
E’ un senso della natura che fa parte della tradizione della Chiesa da sempre; i Padri della Chiesa guardavano alla natura esattamente in questo senso. L’ecologismo a questo punto è una riscoperta in ritardo; il mondo nasce esattamente come cosmo, come bellezza che ha un suo ordine che va rispettato. E l’ecologia, in questo senso, è quindi il rispetto del creato, e del piano di Dio sulle cose.
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Paolo Centofanti
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