da L’Osservatore Romano, 14 ottobre 2009
Occhi lunghi per guardare le stelle
Nell’Anno internazionale dell’astronomia presentata in Vaticano la mostra «Astrum 2009»
di Antonio Paolucci
Nella mattinata di martedì 13 ottobre, nella Sala Stampa della Santa Sede, è stata presentata la mostra “Astrum 2009: astronomia e strumenti. Il patrimonio storico italiano quattrocento anni dopo Galileo” che sarà aperta presso i Musei Vaticani dal 16 ottobre al 16 gennaio. Oltre al direttore della Specola Vaticana, il gesuita José Gabriel Funes, al presidente dell’Istituto Nazionale di Astrofisica, Tommaso Maccacaro, e alla curatrice della mostra, Ileana Chinnici, alla conferenza stampa sono intervenuti il direttore dei Musei Vaticani e il presidente del Pontificio Consiglio della Cultura che, nell’occasione, hanno scritto per il nostro giornale.
Come ci ricorda in apertura di catalogo padre José Gabriel Funes, direttore della Specola Vaticana, gli indiani del Keat Peak nella riserva dell’Arizona dove sono installati i telescopi più potenti del mondo, chiamano the people with long eyes (“la gente dagli occhi lunghi”) gli scienziati e i tecnici che di notte si ritirano nei loro misteriosi avamposti ipertecnologici a scrutare i limpidi cieli stellati del deserto di altura. Ci vogliono occhi lunghi per guardare le stelle, per penetrare la profondità dei cieli. Però, non bastano gli occhi che Dio ci ha dato. Ci vogliono strumenti assai più efficaci, ausili conoscitivi e tecnici molto più elaborati e affidabili perché lo sguardo diventi davvero lungo. Gli indiani del Keat Peak lo hanno capito, gli uomini di ogni epoca e di ogni cultura lo hanno sempre saputo.
La mostra che i nostri Musei ospitano nella sala polifunzionale – dal 16 ottobre al 16 gennaio – voluta e promossa dall’Inaf (Istituto nazionale di astrofisica) e dalla Specola Vaticana, intende offrire alla ammirazione e alla riflessione del pubblico una vasta selezione dell’imponente patrimonio di strumentazione astronomica di interesse storico posseduta dagli istituti italiani. Nell’Anno internazionale dell’astronomia, celebrativo di Galileo e del suo Sidereus nuncius, a quattro secoli dalla scoperta e prima applicazione del telescopio, la mostra curata da Ileana Chinnici con la cooperazione dei Musei Vaticani e, in particolare, di Andrea Carignani, ci racconta la straordinaria avventura.
Come, seguendo quali percorsi conoscitivi e servendosi di quali strumenti – dall’astrolabio arabo di Ibn Sahid el Ibrahim del 1096 al telescopio di ultimissima generazione che la Specola Vaticana utilizza e che è situato a 3200 metri di altezza sul monte Graham in Arizona – la comunità scientifica internazionale, prima e soprattutto dopo Galileo, ha saputo allungare lo sguardo verso cieli sempre più remoti e sempre più incogniti. Fino ad arrivare un giorno – l’augurio è di Tommaso Maccacaro, presidente dell’Istituto nazionale di astrofisica – a risolvere il mistero della nostra apparente solitudine cosmica.
Questo è l’argomento della mostra che, nell’anno di Galileo, i Musei Vaticani ospitano. Non c’è chi non veda la straordinaria rilevanza culturale e anche “politica” dell’evento. Si spiegano così l’alto patronato concesso dal segretario di Stato vaticano e dal presidente della Repubblica italiana, le prestigiose presentazioni in catalogo (Città del Vaticano – Livorno, Musei Vaticani – Sillabe) del cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato, e del cardinale Giovanni Lajolo, presidente del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, e l’indirizzo di saluto del ministro italiano dell’Istruzione, Università e Ricerca, Mariastella Gelmini.
Due cose hanno mosso gli uomini a scrutare i cieli: la curiosità e lo stupore. Non si può vivere sulla Terra senza cercare di capire l’infinito incognito che ci circonda e ci sovrasta. Come spiegare le fasi della Luna e i movimenti degli astri? Perché il Sole sale e discende, stagione dopo stagione, i gradini del cielo? Perché la caduta dei meteoriti che incendiano le notti d’estate e perché l’apparizione delle comete portatrici di prodigi e di presagi? Quanto è grande il firmamento, quanto distano dalla Terra le stelle a noi più vicine? Quali leggi governano – forse immutabili ed eterne, forse in continua evoluzione – l’universo di cui facciamo parte?
Sono domande che gli uomini si sono posti da sempre. Ne abbiamo una rappresentazione splendida nel mosaico del Museo nazionale di Napoli proveniente da Pompei e databile al I secolo prima dell’era cristiana, che ci presenta una pensosa raccolta di filosofi e di scienziati intenti a riflettere e a disputare di fronte a un globo celeste.
Sono domande che per trovare parziali e provvisorie risposte hanno avuto bisogno degli strumenti rari e sofisticati che la mostra ci offre. Eppure la curiosità o per meglio dire l’ansia di conoscenza è sempre preceduta dalla emozione e l’emozione produce “stupore” che è sentimento profondamente umano, di segno evocativo e fantastico.
Il cuore poetico di una mostra gremita di strumenti che hanno permesso agli uomini di scrutare la infinitudine dei cieli è rappresentato, per me storico dell’arte, dalle otto tele di Donato Creti, gioiello della Pinacoteca Vaticana. Osservazioni astronomiche si intitola la celebre serie, perché ogni tela raffigura fenomeni celesti: il Sole, le mutazioni della Luna, la cometa, i pianeti Mercurio, Venere, Marte, Giove, Saturno. La cosa per me straordinaria è che protagonista di ogni dipinto è il corpo celeste oggetto di astronomica osservazione ma è anche la persona (o le persone) che lo guardano.
Donato Creti, l’artista che dipinse le otto tele nel 1711 su commissione del conte bolognese Luigi Marsili, il quale volle farne dono a Papa Clemente xi, viene dalla tradizione stilistica di Guido Reni. Governano la sua pittura gli ideali classici della venustà, della amabilità e della grazia. Questa volta, di fronte a un soggetto iconografico così inusuale, è lo stupore a guidare il suo pennello. Noi entriamo con Donato Creti nel blu profondo, nel nero luminoso di una grande notte italiana, entriamo nei tramonti infuocati dell’estate, nella luce grigio-azzurra di un’alba serena e proviamo gioia e stupore di fronte ai prodigi che il cielo ci regala.
Dietro gli strumenti astronomici allineati dalla mostra – cannocchiali e telescopi, sfere armillari e globi celesti – in molti casi veri e propri capolavori di saperi scientifici e di talenti tecnologici, ci sono la curiosità e lo stupore. Sono i sentimenti che Donato Creti ha messo in figura nelle sue tele. Grazie a lui possiamo meglio capire le ragioni profonde che sempre hanno guidato l’uomo sulle strade impervie e tuttavia affascinanti e in ogni caso non contrastabili, della conoscenza.
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