da L’Osservatore Romano, 30 settembre 2009
Oltre gli orizzonti della scienza
di Fiorenzo Facchini
Che le specie viventi cambino nel tempo e non corrispondano a singoli atti creativi di Dio è oggi comunemente accettato. Che la selezione naturale rappresenti il grande fattore dell’evoluzione è stata la scommessa di Darwin, che ha avuto molti riscontri, anche se richiede delle integrazioni. Che l’evoluzione renda superflua la creazione e tutta la natura si sia autoformata è un passo decisamente troppo lungo per essere vero – non l’aveva compiuto neppure Darwin che al termine della seconda edizione della sua opera, Le origini delle specie, e nelle edizioni successive, parla della creazione – ma che molti fautori del darwinismo, a partire dai primi discepoli di Darwin (Huxley, Haeckel e gli altri), sostengono connotando in questo modo ideologicamente la teoria evolutiva.
Non ci sarebbe alcun bisogno di Dio, di cui mancano le evidenze, né della dimensione spirituale per spiegare l’uomo, il pensiero, la coscienza, la libertà. È questa un’estensione non richiesta dalla scienza. Nessun scienziato serio potrebbe farla in nome della scienza. Si tratta di posizioni ideologiche, riferibili al naturalismo filosofico e sostenute da molti darwinisti che mal sopportano critiche di chi cerca di ragionare sulle acquisizioni della scienza distinguendole dalle interpretazioni che vengono fatte.
Ne è un esempio il lungo intervento su “MicrOmega” di due filosofi, Orlando Franceschelli e Telmo Pievani circa il pensiero da me espresso in due articoli su “L’Osservatore Romano” e su “Avvenire”. Franceschelli e Pievani si dimostrano particolarmente risentiti per alcune mie valutazioni di posizioni darwiniste che ritengono riferite a loro, e sviluppano considerazioni e giudizi che non sono certo dialoganti (nonostante uno strano richiamo biblico al dialogo che appare più patetico che reale); un intervento molto polemico e in qualche punto offensivo, in cui un argomento ricorrente è l’accusa a me rivolta di neointegralismo ratzingeriano, spesso l’ultima sponda dei ragionamenti.
I due filosofi interlocutori lamentano anche la mancanza di argomentazioni, nei miei articoli, sulla conciliabilità di evoluzione e creazione, dimostrando di non ricordare altri miei interventi e soprattutto il mio volume Le sfide dell’evoluzione (Milano, Jaca Book, 2008) pubblicato lo scorso anno e a essi inviato, sul quale avevo anche avuto occasione di discutere con loro. Anche questo un motivo di stupore: memoria corta?
Mi sono chiesto se valeva la pena riprendere il discorso su questa sede, poi ho pensato che ribadire le posizioni già espresse può essere utile almeno per chi legge e vuole conoscere le cose, anche se non sarà di grande utilità per chi fatica a capire o non vuole capire.
Il passaggio dal naturalismo metodologico, che utilizza i metodi della scienza per spiegare le modalità con cui si sono evolute le specie, compreso l’uomo, al naturalismo filosofico, che emancipa la natura dal Creatore, continuo a ritenerlo una estensione arbitraria, nel senso che non è richiesta dalla scienza e riflette posizioni soggettive, entro le quali vengono interpretati, con evidenti forzature, alcuni dati scientifici. I due studiosi citati rivendicano una plausibilità del naturalismo filosofico – Franceschelli in un suo saggio parla di plausibilità scientifica! – affermando che esso “è in sintonia con i dati che oggi provengono dalla scienza”, ma a ben riflettere la sintonia non è con la scienza, ma con la loro interpretazione di alcuni dati della scienza e con l’allargamento che ne fanno. Dispensano a piene mani accuse di arroganza e intolleranza per chi non la pensa come loro. Un’accusa non nuova perché ricorre più volte nei confronti dei teologi nell’ultima opera Darwin e l’anima. L’evoluzione dell’uomo e i suoi nemici (Roma, Donzelli, 2009) di Franceschelli (in cui si parla di arroganza creazionista, metafisica, emergentista).
Il naturalismo, inteso come visione esauriente della conoscenza della natura, esorbita dalla scienza, rientra nella filosofia e come tale va valutato anche nel confronto con altre visioni, come quella che si allarga alla trascendenza, che pure rientra in un orizzonte filosofico. In ogni caso l’onere di argomentare le proprie posizioni è di tutti, non credenti e credenti, e non solo di questi ultimi come affermano i miei interlocutori.
Al naturalismo filosofico si ricollegano le posizioni espresse da vari scienziati darwinisti sull’uomo, inteso come scimmia evoluta, come pure l’estensione di specifiche attività umane al mondo animale. A mio modo di vedere, come antropologo e naturalista, ritengo che si dovrebbero evitare due estremi: l’appiattimento dell’uomo sull’animale e l’innalzamento dell’animale all’uomo. Il risultato è il medesimo: l’annullamento delle differenze e delle identità.
Sorprende il largo uso promiscuo di termini come mente, libertà, coscienza, morale, cultura, riferiti oltre che all’uomo, ai primati non umani, ad altri mammiferi e anche ad altre classi di vertebrati. Ciò si basa su qualche analogia di comportamento, peraltro segnalate dallo stesso Darwin, ma corrisponde a una generalizzazione che non coglie ciò che è proprio a ogni specie. Non si tratta di negare le somiglianze, ma di cogliere l’identità di ciascuna senza annebbiare le differenze. Dentro al livellamento c’è un modo di pensare, un pregiudizio che non vuole riconoscere la specificità dell’uomo. È una impostazione di tipo riduzionistico.
L’appartenenza dell’uomo, di tutto l’uomo alla condizione umana, e quindi la naturalità dell’essere umano non richiede che tutto debba essere spiegato con la biologia escludendo altri approcci conoscitivi. Questa posizione, espressione del naturalismo filosofico, non appartiene alla scienza, ma è una libera interpretazione di alcuni aspetti della realtà naturale secondo una personale posizione ideologica. Si vuole spiegare tutto il comportamento specifico dell’uomo “intelligenza simbolica, linguaggio articolato, il nostro particolare senso morale, il senso religioso, senza il ricorso a sfere trascendenti e interventi divini di cui non si ha alcuna evidenza o necessità”. Si deve accettare che “la scienza naturale non ha limiti di principio nell’indagare ogni specifica caratteristica umana, nessuna esclusa”. Così affermano Franceschelli e Pievani. A me sembra che certi comportamenti dell’uomo vadano oltre gli orizzonti e i metodi della scienza, anche se certamente vi sono connessioni tra la dimensione fisica e quella spirituale nell’unità della persona. Sarebbe come se volessi capire il significato e il valore artistico di un quadro di Raffaello con le analisi dei pigmenti utilizzati e delle fibre vegetali della tela.
Per conoscere e spiegare l’uomo occorre allargare l’orizzonte e sviluppare argomentazioni sul piano filosofico, andando oltre i metodi della scienza, senza preclusioni ideologiche. Si tratterà di vedere, nei confronti che si possono fare, quale visione generale della realtà può essere più soddisfacente nell’interpretare i dati della scienza e nelle conseguenze che se ne possono trarre per valutare le scelte dell’uomo, la cui forza persuasiva è molto diversa se si ammette Dio o lo si esclude.
Per il dialogo occorre chiarezza e la chiarezza richiede, oltre al rispetto delle persone, che si distinguano i diversi campi di analisi e il livello a cui sono interessati, evitando inutili polemiche, di cui non di rado mi capita di fare esperienza in pubblici dibattiti. Personalmente posso dire che nel mio impegno di paleoantropologo e di sacerdote ho sempre cercato di tenere distinti l’ambito scientifico e quello teologico e di avere cercato un dialogo evitando la confusione dei piani.
Certamente per chi si apre alla luce della Rivelazione la creazione e la relazione particolare dell’uomo con Dio emergono in tutta la loro ricchezza e dinamicità. L’allargamento della razionalità scientifica, che Benedetto XVI più volte ha sollecitato, non mortifica l’autonomia della scienza, non rappresenta una invasione di campo – come viene spesso ingiustamente rilevato – perché c’è anche una razionalità filosofica aperta al trascendente e c’è una razionalità teologica. Esse rispondono a un’apertura ad altri orizzonti, e rappresentano un arricchimento, uno sguardo sul futuro. Escluderle è sempre possibile, per chi non è interessato a domande di significato, ma non è richiesto dalla scienza e si collega a scelte personali con cui ci si autolimita nelle proprie conoscenze.
Copyright L’Osservatore Romano
Lascia una risposta
Devi essere connesso per inviare un commento.