da L’Osservatore Romano, 23-24 novembre 2009
Quando la scienza è un albero rigoglioso
Si celebrano in Spagna i settant’anni del Consejo Superior de Investigaciones Científicas
di Alfonso V. Carrascosa
Il prossimo 24 novembre ricorrono i settant’anni della creazione del Consejo Superior de Investigaciones Científicas (Csic), Consiglio Superiore di Ricerche Scientifiche, il più importante organismo pubblico di ricerca spagnolo. Formato da quasi tremila ricercatori e presente in tutte le autonomie, si dedica alla ricerca multidisciplinare sia nelle scienze umane e sociali sia nelle scienze sperimentali. Nel Csic si sono istituzionalizzate la professione di scienziato in Spagna e nuove discipline scientifiche come l’ecologia, la microbiologia, la biologia molecolare, e così via. Il suo fondatore, parlamentare della Seconda Repubblica, professore liceale e membro della Asociación Católica de Propagandistas – movimento ecclesiale fondato dal gesuita Angel Ayala nel 1908 – José Ibáñez-Martín, discepolo del grande umanista spagnolo Menéndez Pelayo, nel suo decreto di fondazione diceva che la principale funzione dell’organismo era “la restaurazione della classica e cristiana unità delle scienze distrutta nel XVIII secolo”. A tale proposito Benedetto XVI dice nella Caritas in veritate, riferendosi agli ambiti del sapere umano, che “le discipline (devono) collaborare mediante una interdisciplinarità ordinata. La carità non esclude il sapere, anzi lo richiede, lo promuove e lo anima dall’interno”, e che “le valutazioni morali e la ricerca scientifica devono crescere insieme e (…) la carità deve animarle in un tutto armonico interdisciplinare”, concludendo che “l’eccessiva settorialità del sapere, la chiusura delle scienze umane alla metafisica, le difficoltà di dialogo tra le scienze e la teologia sono di danno non solo allo sviluppo del sapere, ma anche allo sviluppo dei popoli”. La prima riunione plenaria del Csic, un anno dopo, iniziò con un’Eucaristia dello Spirito Santo nella chiesa madrilena di San Francisco El Grande, presieduta dal vescovo di Madrid-Alcalá, monsignor Eijo y Garay, presenti i vescovi di Salamanca e di Ciudad Rogrido e l’abate mitrato di Silos.
Il giorno dopo Ibáñez-Martín pronunciò un discorso nel quale affermò che “gli atti religiosi con i quali abbiamo inaugurato i lavori di questo Consiglio rappresentano, nell’ordine della vita culturale spagnola, l’espressione più autentica della piena armonia fra la fede e la cultura”, aggiungendo poi: “concepiamo così la scienza spagnola come sforzo dell’intelligenza per il possesso della verità, come aspirazione a Dio (…) unicamente per la verità che ci rende liberi (…) per destinare il suo sforzo intellettuale a portare Dio dentro di sé” sapendo che “vana è la scienza che non aspira a Dio” e che “la fonte della Sapienza è “La Parola di Dio nei cieli e le sue vie sono i comandamenti eterni” (Siracide, 1, 5) chiediamo a Dio di farci il dono della scienza vera ed eterna (…) Essendo una la verità e unitaria ugualmente l’aspirazione verso Dio, la scienza deve essere un’unità filosofica”.
Ibáñez-Martín nominò vicepresidenti il sacerdote Miguel Asín Palacios, grande arabista spagnolo, e i cattedratici anch’essi cattolici Antonio de Gregorio Rocasolano dell’università di Saragozza e Juan Marcilla della Scuola di Ingegneri Agronomi di Madrid. Fu però José María Albareda il suo più stretto collaboratore nell’avviamento del Csic. Scienziato di fama internazionale e cattedratico dell’università di Madrid, fu nominato segretario generale dell’organismo. Fuggì dalla Spagna durante la persecuzione religiosa – nella quale furono uccisi suo fratello e suo padre – con san José María Escrivá de Balaguer. Appartenne all’Opus Dei e finì con l’ordinarsi sacerdote.
Ibáñez-Martín creò all’interno del Csic l’istituto di teologia “Francisco Suárez” per “risuscitare lo slancio imperiale di quella teologia che presiedette tutto il nostro sapere nei secoli d’oro e che, risuonando per bocca dei nostri studiosi dalle cattedre universitarie d’Europa e del Nuovo Mondo, fu lo strumento più potente della diffusione della cultura ispanica”, istituto a cui capo fu posto il vescovo Eijo y Garay, che non tardò a creare una sezione di mariologia poiché “nei tempi attuali, gli studi teologici vertono quasi tutti sulla determinazione delle dottrine attorno a Maria Madre di Dio”.
Fu lo stesso Pio xii a indirizzargli una lettera nel 1943, ringraziandolo per il dono di parte delle pubblicazioni dell’istituto e dicendogli che il Csic era “chiamato a contrastare il pernicioso influsso sfortunatamente prodotto nel campo del sapere spagnolo dai seminatori della cattiva semente e a gettare saldamente le basi di una restaurazione scientifica che restituisca al pensiero spagnolo il suo profondo e glorioso senso tradizionale e cattolico. A tal fine hai voluto fondare, come elemento principale, questo Consiglio, affinché la scienza spagnola, essendo un’aspirazione verso Dio, tenda alla verità e al bene con l’unità della filosofia cristiana e come mezzo di realizzazione di progresso. Per questo in esso avete riconosciuto alla Sacra Teologia il primato sulle discipline dello Spirito; per questo avete deciso di dedicare un tempio allo Spirito Santo, affinché nei vostri sagaci lavori non vi manchi la sua luce”. Oltre a commissionare la costruzione della suddetta chiesa al famoso architetto cattolico Miguel Fisac, Ibáñez-Martín pose lo sviluppo del Csic sotto il patronato di san Isidoro di Siviglia e scelse come emblema dell’organismo l’arbor scientiae del beato Raimondo Lullo. Il Csic è un’ulteriore prova di come ragione e fede, o scienza e religione, si completano, così come diceva Giovanni Paolo II ha ricordato in occasione del Giubileo degli scienziati, il 25 maggio 2000: “La Chiesa nutre grande stima per la ricerca scientifica e per quella tecnica, poiché “costituiscono un’espressione significativa della signoria dell’uomo sulla creazione” (Catechismo della Chiesa Cattolica, 2293) e un servizio alla verità, al bene e alla bellezza. Da Copernico a Mendel, da Alberto Magno a Pascal, da Galileo a Marconi, la storia della Chiesa e la storia delle scienze ci mostrano chiaramente come vi sia una cultura scientifica radicata nel cristianesimo”. In questo Anno dell’Astronomia 2009 tornano in mente anche le parole di Galileo Galilei scritte in una lettera a Benedetto Castelli il 21 dicembre 1613: “la Sacra Scrittura e la natura, provenendo entrambe dal Verbo divino, la prima in quanto dettata dallo Spirito Santo e la seconda in quanto esecutrice fedelissima degli ordini di Dio, non possono mai contraddirsi”.
© L’Osservatore Romano
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