da L’Osservatore Romano, 26 novembre 2009
Quando l’ominide si è accorto di esserci
Teologia ed evoluzionismo
Pubblichiamo alcuni stralci della prolusione tenuta il 25 novembre per l’apertura dell’anno accademico della Facoltà Teologica dell’Emilia Romagna.
di Fiorenzo Facchini
La problematica sull’uomo riguarda non tanto l’epoca della comparsa delle prime forme umane, quanto la differenza tra animale e uomo. Si deve ammettere che il momento più alto della ominizzazione si è avuto quando l’ominide è stato arricchito dallo spirito che ne ha fatto un essere capace di pensare, di guardare a un altro ominide, pure elevato dallo spirito, come a un tu, quando l’ominide ha avuto coscienza di sé, si è accorto di esserci, quando ha incominciato ad agire liberamente, quando, potremmo anche aggiungere, ha percepito la presenza di Dio.
Un concetto che potrebbe essere tenuto presente è quello di emergenza. Ma l’emergenza dell’essere umano in forza dello spirito, trascende il piano biologico, non può paragonarsi ad altri eventi emergenti nell’ordine dei fattori naturali.
Del resto anche nel processo dell’animazione di ogni essere umano non riusciamo a rappresentarci come avvenga l’incontro della realtà fisica con quella spirituale nell’unico essere, che è la persona. L’anima infatti viene creata in modo immediato da Dio, senza passaggi intermedi, come più volte viene affermato nel magistero. L’anima in quanto tale non è un prodotto dell’ominide non umano e neppure dei cromosomi dei genitori. Secondo Karl Rahner si può parlare di autosuperamento o auto trascendimento attivo sia per la ominizzazione che per la generazione, nel senso che la causalità creata supera, in virtù della causalità divina, i limiti fissati alla sua essenza. La trascendentalità dell’azione divina fonda la capacità di realizzare l’autosuperamento. Si può pensare a un concorso della causalità divina e delle cause naturali, nel senso che l’azione divina, oltre a sostenere le cause seconde, le eleva a produrre un essere arricchito dello spirito (De Finance). Giustamente Giovanni Paolo II parla di un salto ontologico, perché con il pensiero e la coscienza ci si porta a un livello diverso della realtà puramente di ordine fisico, e proprio per questo non è rappresentabile o immaginabile con i nostri sensi.
Il problema dell’anima assume nuove connotazioni e problematiche alla luce delle neuroscienze. Un adeguato sviluppo del cervello è certamente necessario per le capacità intellettive dell’uomo. Ma per la mente non è questione solo di massa cerebrale, di connessioni, di reti neuronali alla cui attività si legano le diverse emozioni, il lavoro intellettuale, la memoria, gli stati di coscienza. Moderne tecniche consentono di studiare queste reazioni. Edelman parla di darwinismo neuronale, quasi che lo sviluppo dei circuiti neuronali del cervello sia il risultato della selezione. Viene esplorato il mistero della coscienza dell’uomo. Così facendo si riduce lo spazio del mistero o dell’ignoto, anche se personalmente penso non sarà mai tolto.
Su un certo fronte il naturalismo vorrebbe spiegare con la selezione naturale ogni comportamento umano, compreso quello morale e religioso; parallelamente su un altro fronte si vorrebbero giustificare con le neuroscienze i comportamenti intellettivi e le scelte della persona. In entrambi i casi si affaccia una visione riduzionistica dell’uomo, considerato in una identità puramente animale, o di ordine biologico per quanto elevata e cosciente possa essere, con tutte le conseguenze che si possono immaginare anche sul piano morale e sociale.
In stretta relazione con l’uomo sono alcune derivazioni del darwinismo che appaiono come derive e riguardano la società: il darwinismo sociale e l’eugenetica. Il darwinismo sociale, come teorizzazione della lotta fra le classi sociali per il progresso della società, sostenuto da Huxley e Spencer, è stato smentito da Darwin stesso ed è storicamente superato. L’eugenetica non rappresenta una diretta derivazione del darwinismo, anche se trova qualche premessa in alcune affermazioni di Darwin nell’opera Le origini dell’uomo. Essa, come noto, è stata sostenuta da alcuni discepoli di Darwin (Galton e Huxley), e ha ispirato comportamenti criminali nell’epoca del nazismo. Ora va riemergendo in forme più o meno velate nelle posizioni di coloro che sostengono la eliminazione di patologie ereditarie nel periodo prenatale.
Ci si potrebbe infine chiedere che cosa ha rappresentato la teoria dell’evoluzione per la teologia e per la visione cristiana. Francisco Ayala afferma che Darwin ha completato la rivoluzione copernicana, “trasferendo in campo biologico il concetto di natura come sistema ordinato di materia in movimento che la ragione umana può spiegare senza ricorrere ad agenti soprannaturali”. In questa concezione si toglie anche all’uomo la sua centralità. Lo stesso Ratzinger nel 1969 riconosceva che Darwin ha scatenato una rivoluzione dell’immagine del mondo non inferiore a quella prodotta dalle teorie di Copernico. La dimensione del tempo tocca l’uomo più di quella dello spazio.
Ayala parla di Darwin come di un dono alla scienza e alla religione. Un’affermazione che sa di provocazione, ma che vuole richiamare lo stimolo che la teoria evolutiva ha rappresentato anche sotto il profilo religioso. Più che il meccanismo evolutivo suggerito da Darwin e al di là delle posizioni materialiste che vari scienziati hanno assunto, è il fatto stesso della evoluzione che può assumere importanza in una visione aperta al trascendente.
© L’Osservatore Romano
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