da L’Osservatore Romano, 9 novembre 2008
Matteo Ricci al Festival della Scienza di Genova
Lo strano uomo che stupì la Cina dei Ming
di Maria Maggi
Come Marco Polo ha percorso la strada verso la Cina. Ma non ha portato in Italia i tesori dell’oriente. Ha invece portato alla Cina i tesori dell’occidente. È il maceratese Matteo Ricci(1552-1610). A lui il Festival della Scienza di Genova – che ha trattato il tema della “diversità” – ha dedicato la lettura scenica Matteo Ricci. Un gesuita alla corte dei Ming, tratta dall’omonimo libro di Michela Fontana.
Matteo Ricci sperimentò l’incontro con un mondo e un popolo diverso e sconosciuto, affrontando le difficoltà e le gioie del confronto con questo mondo lontano, in un momento storico in cui la scienza sperimentale stava muovendo i primi passi. Riuscì alla fine a farsi cinese coi cinesi: nella sua persona seppe realizzare una straordinaria armonia interiore tra il sacerdote e lo studioso, il cattolico e l’orientalista, l’italiano e il cinese.
Nella rappresentazione al Teatro Duse la voce narrante – Ruggero Cara – ha raccontato la storia di padre Ricci con l’accompagnamento di proiezioni di antiche carte geografiche, disegni di architetture rinascimentali, ideogrammi cinesi e musica orientaleggiante. Si partiva dalla gioventù di Matteo con la sua formazione nella Compagnia di Gesù, in un periodo storico caratterizzato dalla Riforma cattolica e dalla nascita del pensiero scientifico moderno.
Nel Collegio Romano seguì i corsi di retorica e filosofia, e quelli di matematica, astronomia, cosmografia e altre scienze esatte sotto il celebre padre Cristoforo Clavio, lo scienziato tedesco il cui nome è legato alla riforma del calendario detto gregoriano. Qui maturò la decisione di dedicarsi ad attività missionarie. Nel 1578, a 26 anni, salpò da Lisbona per recarsi a Goa, un avamposto portoghese sulla costa indiana. Ordinato sacerdote quattro anni dopo, gli venne ordinato di partire per la Cina.
Ricci nel 1582 sbarcò a Macao, perché il resto del Paese era proibito agli stranieri. Qui apprese la lingua e i costumi cinesi e realizzò la sua opera cartografica, intitolata Grande mappa dei diecimila Paesi, che univa le conoscenze geografiche dei cinesi a quelle degli occidentali. Nel 1583, assieme al confratello Ruggieri, arrivò a Zhaoqing. Era dai tempi di Marco Polo che nessun europeo entrava nell’impero cinese e vi aveva diritto di residenza. Ricci narrò così l’ingresso a Zhaoqing e l’accoglienza ricevuta al palazzo del governatore: “(I Padri) furono ricevuti con molta benignità; (…) domandò loro il governatore chi erano, di dove venivano e che volevano; risposero (…) che erano religiosi (…) attratti dalla fama del buon governo della Cina, e solo desideravano un luogo dove potessero fare una casetta e una chiesuola (…) servendo fino alla morte al loro Dio”.
Parole semplici, ma contenenti tutto un programma.
I primi inizi del lavoro missionario furono lenti e dettati da grande prudenza. Il Ricci imperniò il suo apostolato su due cardini: lo studio della letteratura cinese e delle scienze matematiche, e l’esercizio della carità cristiana. Per essere in grado di comunicare coi funzionari cinesi, tutti letterati, perfezionò la lingua e studiò approfonditamente la storia, la cultura, la filosofia cinese e in particolare Confucio, che definì “un altro Seneca”.
Nel dicembre 1584 fece stampare un breve catechismo in cinese messo in buona lingua con l’aiuto di un letterato del Fujian, che aveva ricevuto il battesimo con il nome di Paolo. Questo Tianzhu Shilu fu il primo libro stampato da stranieri in Cina; dapprima in una tiratura di milleduecento copie, seguita da ristampe. Ricci compose in questo periodo anche il Mappamondo in lingua cinese.
“Ricci osserva e viene osservato, studia e viene studiato”, è detto nella rappresentazione. Per farsi meglio accettare, si presentò come “teologo, predicatore e letterato occidentale”; cercò di modellare la sua vita su quella dei letterati e dotti cinesi; adottò quindi l’abbigliamento proprio dei letterati. E con la foggia del vestito armonizzò, naturalmente, tutta la sua maniera del vivere esteriormente; si lasciò crescere la barba e i capelli e prese il nome Li Madou.
Dopo aver imparato tanto dai cinesi Matteo Ricci diventò a sua volta maestro, divulgando il sapere scientifico occidentale. In primo luogo la geometria euclidea e poi i concetti astronomici tolemaici, all’epoca ancora validi, la rotondità del globo, e così via. Dopo un primo tentativo infruttuoso, nel 1601 Ricci riuscì ad arrivare a Pechino. Quando vi giunse, inviò all’imperatore Wan-li un Memoriale nel quale, presentandosi come religioso e celibe, “non chiedeva nessun privilegio alla corte”, ma domandava solo di potere “mettere al servizio” del sovrano la propria persona e quanto aveva potuto imparare sulle scienze nel “grande Occidente” da cui era venuto. La reazione dell’Imperatore fu positiva. Per dimostrare lo stato avanzato raggiunto dalla tecnologia europea, mostrò due oggetti: un orologio automatico e la carta geografica del globo.
L’imperatore stesso fu talmente entusiasta di quest’ultima che nel 1608 ne fece fare una nuova ristampa e ne chiese 12 copie per sé. Copie di questo Mappamondo cinese ne rimangono, tuttora, a Pechino, a Londra e nella Biblioteca Apostolica Vaticana. Ricci vi raffigurò i continenti e le isole fino allora scoperti. I cinesi così scoprirono l’esistenza di nuovi e lontani Paesi e della stessa Europa.
Matteo Ricci scrisse molte opere in cinese, sia scientifiche che religiose. Portò a termine l’impresa ciclopica di tradurre in cinese gli Elementi di Euclide. Uno delle suoi ultimi scritti fu Dieci paradossi, un’opera di carattere morale stampata nel 1607. Il titolo cinese significa propriamente: Dieci capitoli di un uomo strano. L’uomo strano è Ricci, considerato singolare dai cinesi, oltre che per le sue caratteristiche somatiche europee, e per la barba fluente, soprattutto per la prodigiosa memoria e per la fede in Dio da lui professata apertamente. L’appellativo di “strano” assumeva un significato benevolo presso i cinesi, i quali vi vedevano un’allusione a una celebre frase di Confucio: “L’uomo è strano per gli uomini, ma è simile a Dio”.
Matteo Ricci offrì un apporto fondamentale al dialogo e alla reciproca comprensione tra Cina e Europa. Egli introdusse in Cina la matematica e la geometria dell’Occidente; presentò le grandi acquisizioni del rinascimento nel campo della geografia, della cartografia e dell’astronomia. D’altra parte, egli dette all’Europa, grazie ai suoi scritti la conoscenza dei contenuti e del pensiero della civiltà cinese.
© L’Osservatore Romano
Lascia una risposta
Devi essere connesso per inviare un commento.