L’irruzione mediatica e telematica di Papa Benedetto XVI sulla Stazione Spaziale Internazionale, ha spiegato l’astrofisico Sigismondi, professore all’Università La Sapienza di Roma, non dovrebbe sorprendere nemmeno i non esperti della storia della Chiesa e dei suoi Papi: non è infatti solo totalmente coerente con il Magistero del Santo Padre, con i suoi insegnamenti da docente universitario, e in continuità con il Magistero di Papa Giovanni Paolo II. Si riallaccia anzi a una tradizione millenaria, che mille anni fa 999 ha visto anche Silvestro II (Gerberto d’Aurillac) porsi allo stesso tempo come uomo di fede e uomo di scienze, astronomo e Pontefice. Non è un caso, appunto, “che il nome di Silvestro II sia riecheggiato su Avvenire per citare il primo papa astronomo” della storia.
Docente di Storia dell’Astronomia e Filosofia dell’Astronomia per il Master in Scienza e Fede dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, Sigismondi ne ha parlato in un commento per SRM, sottolineando come, tra gli argomenti affrontati nel collegamento tra la Biblioteca Vaticana e l’ISS, “il tema dell’ambiente sia tornato ad essere principale, anche per la naturale ispirazione alla preghiera che suscita lo spettacolo dallo spazio del pianeta che ci ospita”.
L’astrofisico ha continuato spiegando anche come sia possibile tracciare e cercare di osservare la Stazione Spaziale Internazionale dalla Terra, e parlando delle proprie sensazioni ascoltando la conversazione, che lo ha coinvolto come uomo di fede, ma anche come tecnico e scienziato: “il primo commento alla videochiamata del Papa di sabato 21 alla stazione spaziale – ha spiegato – è stato «sono a meno di 400 Km di altezza, è come chiamare a Bologna»”. Una simpatica osservazione per rendere questo evento apparentemente normale, e che lo ha fatto però riflettere “proprio sulla possibilità, anche per astrofili dilettanti, e per chiunque abbia uno strumento anche poco potente”, di osservare l’ISS in determinati momenti”.
Perché “in effetti la stazione spaziale internazionale, chiamata con l’acronimo inglese ISS, è il satellite artificiale della Terra più grande, e la sua massima luminosità apparente durante un passaggio è sempre superiore a Sirio, la stella più brillante del cielo”. È naturale quindi che possa “essere vista agevolmente ad occhio nudo”.
Come fare però “a distinguerla da un aereo? L’aereo ha anche luci lampeggianti, la stazione spaziale riflette la luce del Sole, perciò è luce fissa, solo che si affievolisce man mano che si allontana, e si allontana velocemente visto che fa un giro del mondo in un’ora e mezza, quasi 27.000 Km all’ora, circa 8 Km al secondo è la velocità orbitale; poi ad un certo punto sparisce improvvisamente, perché entra nell’ombra proiettata dalla Terra”, subendo un’eclissi analoga a quella lunare.
Sigismondi racconta poi di quando assistette “al CERN di Ginevra ad un collegamento con la ISS insieme ad un gruppo di giovani studenti europei, selezionati da un concorso internazionale nelle scuole per proporre esperimenti da realizzare proprio nella stazione spaziale; tra questi, il famoso esperimento della caduta di due gravi: una piuma ed una clava, che in assenza di attrito d’aria, cadono con la stessa accelerazione e quindi la stessa velocità se entrambi partono da fermo”.
Per l’estrema velocità della stazione, circa 8 km al secondo, al CERN “era stata predisposta una scaletta con tempi rigorosissimi, provata e riprovata nei minimi dettagli, per non rischiare di mancare l’appuntamento con l’ISS per mancanza di organizzazione”, o per eventuali ritardi non previsti nelle attività a Terra”.
Una programmazione utilizzata anche per il collegamento con la Biblioteca Vaticana e il colloquio con Papa Benedetto XVI, perchè in orbita attorno al pianeta “sono la gravitazione di Newton e le leggi fisiche a determinare i tempi possibili dei discorsi”.
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