Il 15 febbraio del 1564 nasceva a Pisa Galileo Galilei, uomo divenuto simbolo del rapporto non sempre semplice, nei secoli trascorsi, tra scienza e fede: scienziato, filosofo, credente, è universalmente considerato il padre del metodo scientifico e, conseguentemente, della scienza come oggi la conosciamo.
Tra e sue opere più importanti il Sidereus Nuncius, pubblicato nel 1610; il suo opuscolo Istoria e dimostrazioni intorno alle Macchie Solari, di cui lo scorso anno ricorrevano i quattro secoli dalla pubblicazione; Il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, del 1632; i Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze attinenti la mecanica e i moti locali, trattato del 1638.
A lui si devono anche studi sul tempo e sui modi per misurarlo e, soprattutto, il primo utilizzo del telescopio per le osservazioni astronomiche, e il perfezionamento di tale strumento, grazie al quale scoprì tra gli altri Callisto, Europa, Ganimede, Io.
I suoi contrasti con la Chiesa Cattolica furono in parte dovuti alla cultura e alle posizioni teologiche e filosofiche, prevalentemente aristoteliche, dominanti nel suo tempo, in parte alla difficoltà di mediare tali posizioni, oltre che le Sacre Scritture, con la nuova teoria eliocentrica copernicana, da Galileo appoggiata ma in quel periodo non ancora totalmente dimostrata, in parte alla non volontà di Galileo di mediare tali posizioni ufficiali con le idee radicalmente innovative, sue e di Keplero, sulla struttura e i meccanismi di funzionamento dell’Universo.
Come Papa Giovanni Paolo dichiarò il 31 ottobre del 1992 nel suo discorso ai partecipanti all’Assemblea Plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze, “se la cultura contemporanea è segnata da una tendenza allo scientismo, l’orizzonte culturale dell’epoca di Galileo era unitario e recava l’impronta di una formazione filosofica particolare. Questo carattere unitario della cultura, che è in sé positivo e auspicabile ancor oggi, fu una delle cause della condanna di Galileo. La maggioranza dei teologi non percepiva la distinzione formale tra la Sacra Scrittura e la sua interpretazione, il che li condusse a trasporre indebitamente nel campo della dottrina della fede una questione di fatto appartenente alla ricerca scientifica.”
L’errore, in quegli anni inevitabile, fu di non comprendere né che la Bibbia non doveva essere interpretata in senso letterale, né che differenti discipline e modi di interpretare la realtà come la scienza, la filosofia, la teologia, non possono avere gli stessi metodi di indagine, e non possono necessariamente portare alle stesse conclusioni.
D’altra parte, lo stesso Galileo fino al suo processo ebbe un atteggiamento che si potrebbe definire quasi altrettanto dogmatico, oltre che dichiaratamente e pubblicamente di sfida alla Chiesa Cattolica, all’allora Pontefice Urbano VIII e al Cardinal Bellarmino, e fino all’abiura non accettò di definire la teoria copernicana e eliocentrica come una ipotesi scientifica, potenzialmente valida come altre, del resto appunto non ancora incontrovertibilmente dimostrata; un atteggiamento che più volte ambiguamente negò, forse opportunisticamente, quando si trovava messo alle strette, e che contribuì non poco alla sua condanna da parte del Santo Uffizio. Così, il 22 giugno del 1633, finì per abiurare pubblicamente le sue teorie astronomiche, e fu confinato nella sua villa di Arcetri, dove morì l’8 gennaio del 1642.
Quello di Galileo è stato un caso, come Papa Giovanni Paolo II affermò nel discorso citato, da cui “si può trarre un insegnamento che resta d’attualità in rapporto ad analoghe situazioni che si presentano oggi e possono presentarsi in futuro”: fede e ragione non necessariamente ci mostrano le stesse realtà o ci portano alle medesime conclusioni. L’errore è scegliere solo l’una o solo l’altra, senza cercare di farle dialogare tra loro, e senza cercare una risposta che possa mediarle, se non, almeno per chi crede, mostrare una realtà più complessa e forse non comprensibile attraverso una sola chiave di lettura.
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