La teoria del Multiverso non è così recente come si potrebbe credere, anzi, l’avrebbe predetta involontariamente, già nel tredicesimo secolo, uno studioso inglese, Robert Grosseteste. Scienziato, filosofo e allo stesso tempo teologo, come allora era comune, vescovo di Lincoln, già nel 1225 avrebbe anticipato le attuali idee di multiverso. Ne ha parlato qualche tempo la giornalista Lisa Grossman sulla rivista scientifica New Scientist, in un articolo dal titolo Medieval multiverse heralded modern cosmic conundrums.
Considerato dallo storico e filosofo della scienza Alistair Cameron Crombie il padre del pensiero scientifico nella Oxford del Medioevo e il precursore della moderna cultura scientifica britannica, Grosseteste scrisse un trattato sulla luce, intitolato in lingua latina De Luce, sul quale hanno lavorato alcuni scienziati della università inglese Durham, guidati dal fisico Tom McLeish. I ricercatori hanno tradotto l’originale testo latino in equazioni moderne, scoprendo l’involontaria previsione del Grosseteste. Un fatto che, scrive l’autrice, “mostra come parte dei paradossi filosofici posti dalla cosmologia” relativamente ad esempio alle teorie del multiverso, “siano sorprendentemente pervasivi”.
Lo stesso McLeish ha spiegato la procedura seguita: “abbiamo cercato di tradurre in matematica” ciò che Grosseteste “aveva scritto in parole latine. Abbiamo così ottenuto un set di equazioni, che abbiamo potuto parametrizzare in un computer e risolvere. Stiamo esplorando matematicamente un nuovo tipo di universo, il che coincide con ciò che i teorici delle stringhe fanno per tutto il tempo. Noi, siamo semplicemente dei teorici delle stringhe medioevali”.
Studioso di Aristotele, di cui riprendeva le teorie sul movimento delle stelle attorno alla terra, e sulle sfere celesti, nel suo trattato De Luce, Grosseteste teorizza anche l’inizio dell’universo, con una sorta di big bang ante litteram: un lampo di luce che da un piccolo punto iniziale si è trasformato in una grande sfera.
Questo il link all’articolo originale su New Scientist, accettato, http://arxiv.org/abs/1403.0769, dai Proceedings of the Royal Society A
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