Il complicato e delicato rapporto tra scienza e società, i rischi del trasformare la scienza come unico parametro di valore, e di sacrificarle anche l’essenza e le diginità degli esseri umani, sono alcuni degli argomenti al centro del nuovo libro del sociologo Franco Ferrarotti, dal titolo Scienza e coscienza. Verità personali e pratiche pubbliche. Pubblicato nel 2014 da EDB per la collana Lapislazzuli
Il volume analizza il progressivo affidarsi alla scienza da parte delle “società industrializzate del terzo millennio”, che sempre più “fondano le loro decisioni su tecniche di previsione sociale ed economica basate sulla razionalità”. Ma in questo modo, delegando alla scienza la maggior parte delle nostre scelte, e affidandoci a lei pure successivamente per la gestione economica, industriale e tecnologica, quando non pure etica, di tali scelte, “il sapere scientifico diviene gradualmente una specie di nuova religione laica, eticamente neutra, giustificata dal suo stesso essere e dotata di una validità immanente che non ha bisogno di imperativi etici trascendenti”.
Anche la tanto invocata e auspicata neutralità, altro non è che un “paravento dietro il quale si dissimula il divorzio tra la scienza – troppo incline a dimenticare di non essere altro che un’impresa umana – e la coscienza”. Ma come recuperare questa scissione tra umanità e tecnologia, e tra umanesimo e ricerca scientifica ? Sicuramente, spiega il libro “non è sufficiente far leggere Shakespeare agli ingegneri o spiegare la seconda legge della termodinamica ai cultori di letteratura; serve piuttosto comprendere che l’avvenire non dipende dal semplice sviluppo scientifico, bensì dalla capacità di valutazione critica globale, cioè da una cultura integrata in cui la scienza riscopra la sua funzione rispetto al significato dell’uomo senza pretendere di esaurirlo”.
Professore emerito di Sociologia all’Università La Sapienza di Roma, Ferrarotti spiega così il ruolo e il destino dello scienziato o dello studioso: “Ho imparato che il ricercatore è sempre dentro, non fuori, della ricerca. Ho imparato, in altre parole, che il ricercatore è sempre, anche lui, un ricercato”.
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