Julien Ries, cardinale e arcivescovo cattolico, nato ad Arlon, Belgio, il 19 aprile del 1920, e morto a Tournai il 23 febbraio del 2013, è uno dei più importanti storici delle religioni, considerato il padre dell’Antropologia religiosa fondamentale. Dopo gli studi classici ottenne una licenza in teologia, una in filologia e storia orientali e, nel 1953, il dottorato in teologia. Il libro di cui scriviamo oggi, Vita e Eternità nelle Grandi Religioni, è la sua sintesi, originalmente manoscritta, del suo Archivio per l’antropologia simbolica, istituito all’Università Cattolica in collaborazione con la casa editrice Jaca Book, che dal 2007 sta progressivamente pubblicando la sua opera omnia.
Il volume, inserito a catalogo nel 2014, è il dodicesimo della serie; come spiega la presentazione ufficiale, “ci troviamo di fronte a una delle più classiche aperture di un cassetto da tempo rimasto chiuso. Questo è potuto capitare anche a uno studioso come Ries, che aveva un archivio formidabile”. Nel testo, proprio in quanto summa ragionata dei suoi studi e delle sue riflessioni, troviamo gli elementi fondamentali della sua antropologia religiosa: il senso del Sacro, dall’antichità ai tempi moderni, i Miti, i Simboli, i Riti, completati di sue analisi e osservazioni.
Avvenire ha pubblicato uno stralcio dal capitolo principale, in cui Ries spiega il senso profondo di una religiosità presente già negli uomini primitivi e nei Neandertal, testimoniata ad esempio dalla grande importanza e attenzione per i riti funebri e per le sepolture; per il testo completo, rimandiamo all’articolo originale e, ovviamente, al volume:
“Nella storia dell’umanità – si legge – l’homo religiosus assume una modalità specifica di esistenza, che si esprime in diverse forme religiose e culturali. Lo si riconosce dal suo stile di vita: crede all’esistenza di una realtà assoluta che trascende questo mondo e vive delle esperienze che, attraverso il sacro, lo mettono in relazione con questa Trascendenza. Rileviamo che egli crede all’origine sacra della vita e al senso dell’esistenza umana come partecipazione a un’Alterità. È anche un homo symbolicus, che coglie il linguaggio delle ierofanie, attraverso le quali il mondo gli rivela delle modalità che non sono evidenti di per se stesse”.
Per Ries già “le prime tombe che ci offrono una certezza della credenza in una sopravvivenza provengono da Qafzeh e da Skuhl, nel Vicino Oriente, grazie alla presenza di tracce di cibo e di utensili in prossimità degli scheletri: si tratta del 90.000 a.C.” Una credenza che si sviluppa e si mostra in modi più complessi “a partire dall’80.000”, quando “l’uomo di Neandertal moltiplica questi riti” e che si evolve ulteriormente nel Paleolitico superiore, a partire dal dal 35.000 circa, con i complicati riti funebri dell’Homo sapiens sapiens.
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