La ricorrenza del 5 marzo 2016, a quattrocento anni dal Decreto della Congregazione dell’Indice che sospendeva la pubblicazione del De revolutionibus Orbium Coelestium di Niccolò Copernico, che sosteneva la tesi di un sistema solare eliocentrico, con la Terra in orbita attorno al Sole, è uno dei momenti più emblematici delle difficoltà storiche nel rapporto tra religione e discipline scientifiche.
Da alcuni è visto anche come uno dei momenti più drammatici, culminato nel processo a Gaileo Galilei. In realtà per l’epoca era un normale e inevitabile momento di riflessione e confronto dialettico, in una realtà storica e intellettuale che non aveva certo la velocità odierna, e che vedeva la Chiesa in difficoltà a spiegare, a sé stessa e ai suoi fedeli, come tali importanti scoperte, comunque ancora da dimostrare e non totalmente accettate, non negassero la fede nelle sue stesse basi, Scritture in primis.
Quanto al Processo a Galileo, troppo spesso visto solo come uno scontro tra fede e scienza. non fu, come spesso si legge, il processo alla teoria eliocentrica e ai suoi sostenitori, tra cui appunto lo scienziato pisano. Lo stesso Galileo, quando arrivò a Roma nel marzo del 1611, era stato accolto e onorato per le sue scoperte dallo stesso Papa Paolo V, al punto da essere anche nominato membro dell‘Accademia dei Lincei dal principe Federico Cesi, che l’aveva istituita.
Il problema di Galileo fu il dare per certa la teoria eliocentrica, che ancora doveva essere definitivamente dimostrata, e il non volerla mediare con le posizioni teologiche e filosofiche del tempo, non preoccupandosi né delle accennate conseguenze per la dottrina della Chiesa Cattolica, né del tempo necessario alla Chiesa stessa come istituzione per recepire tale nuova teoria e armonizzarla con la propria fede, spiegandola anche ai suoi fedeli.
Lo aveva spiegato il 31 ottobre 1992 Papa Giovanni Paolo II nel suo discorso ai partecipanti alla sessione plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze: “Il capovolgimento provocato dal sistema di Copernico ha [..] richiesto uno sforzo di riflessione epistemologica sulle scienze bibliche, sforzo che doveva portare più tardi frutti abbondanti nei lavori esegetici moderni e che ha trovato nella Costituzione conciliare Dei Verbum una consacrazione e un nuovo impulso”.
L’allora Pontefice riconobbe comunque gli errori compiuti dalla Chiesa, spiegando anche che “dal caso Galileo si può trarre un insegnamento che resta d’attualità in rapporto ad analoghe situazioni che si presentano oggi e possono presentarsi in futuro. Al tempo di Galileo, era inconcepibile rappresentarsi un mondo che fosse sprovvisto di un punto di riferimento fisico assoluto. E siccome il cosmo allora conosciuto era, per così dire, contenuto nel solo sistema solare, non si poteva situare questo punto di riferimento che sulla terra o sul sole. Oggi, dopo Einstein e nella prospettiva della cosmologia contemporanea, nessuno di questi due punti di riferimento riveste l’importanza che aveva allora. Questa osservazione, è ovvio, non concerne la validità della posizione di Galileo nel dibattito; intende piuttosto indicare che spesso, al di là di due visioni parziali e contrastanti, esiste una visione più larga che entrambe le include e le supera”.
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