Almeno questo è quanto indicherebbe un recente studio realizzato da alcuni ricercatori della Case Western Reserve University e del Babson College. Diretta da Anthony Ian Jack, la ricerca ha visto la collaborazione di Jared Parker Friedman, Richard Eleftherios Boyatzis e Scott Nolan Taylor.
Il loro studio scientifico è stata pubblicato in questa settimana di marzo sulla rivista scientifica Plos One, in un articolo dal titolo Why Do You Believe in God ? Relationships between Religious Belief, Analytic Thinking, Mentalizing and Moral Concern – Perché crediamo in Dio ? Relazioni tra credo religioso, pensiero analitico, mentalizzazione e preoccupazioni morali, DOI: 10.1371/journal.pone.0149989.
Per gli studiosi, il modo in cui vediamo il mondo e le nostre stesse esistenze, la nostra propensione a credere in Dio, o comunque nella divinità, piuttosto che l’eventuale propensione all’ateismo o allo scetticismo, dipenderebbero quindi dai nostri neuroni, dalla struttura e dalle reazioni biochimiche dei nostri cervelli.
E anche lo stesso conflitto intellettuale tra fede e scienza, quindi, sarebbe riducibile al confronto – scontro, apparentemente intellettuale e filosofico, in realtà biochimico, potremmo dire, tra due differenti macro tipologie cerebrali. Da una parte quelle di chi è predisposto a credere, dall’altra di coloro che invece sono predisposti a non farlo, e a dubitare.
Lo studio indica anche che chi ha una mente religiosa, sarebbe meno incline al pensiero critico e analitico, il che però avrebbe anche una utilità sociale. Anthony Ian Jack ha infatti affermato: “Quando c’è una questione di fede, dal punto di vista analitico, questa può sembrare assurda”. Allo stesso tempo, però ”da ciò che abbiamo capito sul cervello, la nostra predisposizione a credere nel soprannaturale, ci porta anche a mettere da parte il modo critico – analitico di pensare, e ciò però ci aiuta ad ottenere una maggiore comprensione sociale ed emotiva” della realtà e delle persone che ci circondano.
Non vorremmo semplificare troppo: non possiamo però non chiedere come i risultati di questa ricerca si concilino con l’esistenza ad esempio, dall’antichità ad oggi, di scienziati o filosofi che allo stesso tempo erano, o sono oggi, anche credenti. O con i recenti studi sociali dai quali appare che la maggior parte dei ricercatori e docenti universitari dichiarano di avere una propria fede, o comunque una qualche forma di spiritualità.
Fonti: Plos One, Science Daily
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