Il 27 aprile 2016 è morto lo studioso italiano, docente di antropologia all’Università di Bari, noto anche per un suo famoso libro sul Sacro Telo in cui utilizzando il metodo scientifico si proponeva di dimostrarne la non autenticità. Ma nella comunità scientifica sono sicuramente i suoi studi sull’Uomo di Altamura, quelli che gli hanno valso maggiore notorietà e autorevolezza come scienziato.
Scoperto da alcuni speleologi il 3 ottobre del 1993 nella grotta di Lamalunga, nella zona della cittadina di Altamura, l’Uomo di Altamura è lo scheletro di un Homo neanderthalensis, o Uomo di Neanderthal, che dovrebbe essere vissuto tra 126.000 e i 185.000 anni prima di Cristo. Vittorio Pesce Delfino, specializzato in in anatomia e istologia patologica, con la sua equipe lo ha studiato per 15 anni, utilizzando anche un particolare sistema di telecamere, da lui progettato, per poter studiare a distanza il reperto, senza doverlo spostare dalla sede in cui era stato ritrovato.
Proprio il giorno prima della morte di Pesce Delfino, era stato annunciato un modello tridimensionale dell’Uomo di Altamura, realizzato da una equipe guidata dai due antropologi Giorgio Manzi, dell’Università di Roma La Sapienza, e David Caramelli, dell’Università di Firenze.
Quanto al Sacro Telo, lo studioso nel 1982 aveva pubblicato con edizioni Dedalo il libro E l’uomo creò la Sindone, con l’obiettivo dichiarato, intuibile già dal titolo, di confutarne l’autenticità. Il volume, a causa pure del caso mediatico che ne derivò, fece ovviamente molto discutere, ma non portò in realtà a conclusioni definitive. Pesce Delfino teorizzava che la Sindone non fosse il sudario di Gesù Cristo, ma un manufatto realizzato da un artista o da un abile falsario in epoca medioevale, con strumenti già disponibili in quel periodo. Ripubblicato in una nuova edizione nel 2000 in ovvia coincidenza con il Giubileo, ancora oggi il libro è considerato dai detrattori della Sindone come una delle prove più strutturate e scientificamente motivate della sua falsità.
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