Un articolo pubblicato sulla rivista scientifica Nature Neuroscience, ci spiega alcuni interessanti meccanismi che sono alla base della disonestà sociale, e la ragione per cui comportamenti non etici non siano solo scorretti, e in alcuni casi possiamo dire pure illegali, ma inducano le persone ad abituarsi a mentire e comportarsi scorrettamente. In un meccanismo in cui più si mente, più si è disonesti, più si acutizzano tali comportamenti giorno dopo giorno, una menzogna o scorrettezza dopo l’altra. Lo studio è stato realizzato da Neil Garrett, Stephanie Lazzaro e Tali Sharot dell’Affective Brain Lab del dipartimento di psicologia sperimentale dell’University College d Londra, Gran Bretagna, e da Dan Ariely della Fuqua School of Business, alla università Duke, North Carolina, Stato Uniti.
L’articolo, pubblicato il 24 ottobre 2016 con il titolo The brain adapts to dishonesty – Il cervello si adatta alla disonestà, mostra come la ripetizione di comportamenti disonesti crei una progressiva perdita di sensibilità alla disonestà stessa, che viene quindi progressivamente vista come fosse quasi la normalità, anziché un insieme di comportamenti socialmente patologici, oltre che nella maggior parte dei casi manifestazione di disagi psichici individuali. “La disonestà – si legge nell’abstract dell’articolo – è parte integrante del nostro mondo sociale, e influenza e condiziona domini che vanno dalla politica alla finanza, alle relazioni personali”.
Tutti siamo abituati a mentire: chi nelle piccole cose, per difendersi o a fin di bene, chi in modi spropositati, nella maggior parte dei casi per coprire altre scorrettezze o menzogne, e per fini di potere o di affermazione personale. Il problema, spiega la ricerca è che maggiore è l’abitudine di certe persone a mentire, maggiore sarà la loro propensione a continuare ad essere bugiardi, fino a generare pure dei veri e propri automatismi psicologici, in cui anche la logica o la utilità personale possono perdere significato, sostituite del tutto da una cronica abitudine alla menzogna. “Aneddoticamente – possiamo leggere nel testo – digressioni da un codice morale sono spesso descritte come una serie di piccole violazioni che crescono nel corso del tempo.”
Lo studio, spiegano i ricercatori, grazie ai soggetti analizzati fornisce una “prova empirica di una graduale escalation di disonestà a proprio vantaggio” e “rivela un meccanismo neurale che la sostiene”. Dal punto di vista del comportamento, mostra che la misura in cui i soggetti attuano comportamenti disonesti a proprio vantaggio, aumenta con la ripetizione” dei comportamenti stessi. Il gruppo di studio ha utilizzato tecniche di imaging a risonanza magnetica – MRI, che hanno rivelato nei soggetti una progressiva riduzione del segnale dell’amigdala, sensibile alla propria storia di comportamenti disonesti”: una riduzione coerente con l’ipotesi di progressivo adattamento.
Inoltre, “criticamente, il grado di ridotta sensibilità alla disonestà dell’amigdala su una decisione attuale rispetto a quella precedente, predice quella che sarà l’entità della escalation di disonestà a proprio vantaggio sulla decisione successiva”; è stato scoperto così “un meccanismo biologico che porta a quello che potremmo definire un pendio scivoloso”: chi è abituato a compiere piccoli atti di disonestà può probabilmente “degenerare in trasgressioni molto più grandi” e molto più gravi dal punto di vista etico, sociale, individuale.
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