Pubblichiamo la prima delle tre parti dell’intervista anticipata ieri, realizzata da Paolo Centofanti, direttore SRM, ai margini del Convegno L’ evoluzione Biologica. Fatti e Teorie. Nell’intervista il biologo e zoologo Ludovico Galleni, che vogliamo qui nuovamente ricordare, spiega ai lettori alcuni concetti chiave dell’evoluzione, e nega la presunta incompatibilità tra fede e teorie evolutive, mostrando anzi quali siano gli innegabili punti di contatto tra la teologia attuale e l’evoluzione. Racconta anche il grande contributo dato dal naturalista e monaco benedettino Gregor Johann Mendel allo sviluppo della moderna genetica.
Cosa risponderebbe oggi a chi sostiene l’incompatibilità tra teorie evolutive e magistero della Chiesa Cattolica ? Uno dei punti da chiarire, è che si può benissimo credere alla stabilità della specie, ed essere atei, o ritenere, come ritiene la scienza moderna, che i viventi si siano trasformati nel tempo, ed essere credenti. L’altro punto è che in realtà si tratta di due piani tra loro differenti: da una parte uno la fede in un Dio Creatore, dall’altra l’indagine che la scienza, come ci insegna il Concilio Vaticano II, porta avanti nella sua completa autonomia; una indagine in realtà su come l’opera di Dio si è manifestata, e può benissimo essersi manifestata attraverso l’evoluzione. Però la scienza deve accettare questo punto di vista.
Si sente parlare spesso di evoluzione, evoluzionismo, teorie darwiniane e darwinismo, come se fossero sinomini. Sono espressioni che coincidono davvero tra loro ? Questo è un’altro aspetto importante su cui troppo spesso si fa confusione, mentre occorre fare chiarezza : la distinzione tra evoluzione e darwinismo.
L’evoluzione, così come la presenta oggi la scienza, è il risultato (un paragone che uso sempre anche se abbastanza particolare) di una ricerca di tipo storico. Una ricerca che è altrettanto provata quanto è provata ad esempio l’esistenza dell’Impero Romano. E proprio perchè è una ricerca di tipo storico, anche nella biologia si guarda al passato per cercare di capire come sono avvenuti alcuni eventi, e descriverli. L’indagine sull’Impero romano si basa su alcuni reperti antichi: ad esempio una colonna, un tempio, un testo di uno storico, e sulle conseguenze nel presente, come ad esempio la diffusione delle lingue neolatine.
Lo stesso si può dire per l’evoluzione: si esamina il reperto storico, in questo caso il fossile, o si esamina oggi la struttura dei viventi, e attraverso la struttura dei cromosomi, del dna, si può ricostruire la morfologia degli alberi di filogenesi che li collegano. Questa quindi è sostanzialmente l’evoluzione: altrettanto provata quanto è provato l’impero romano.
Diverse sono invece le teorie che ne spiegano i meccanismi.
Teorie che spesso sembrano fare riferimento esclusivamente a Darwin … Facciamo un po’ di storia. Il Darwinismo è una teoria proposta da Charles Darwin e da Alfred Russell Wallace, più o meno agli inizi della seconda metà del diciannovesimo secolo, per spiegare l’evento storico evoluzione.
Per restare coerenti con gli esempi precedenti, possiamo dire che sia un fatto storico che Napoleone sia stato sconfitto a Waterloo. Però ancora oggi gli storici discutono sulle ragioni: “schierò male le truppe, non riuscì a chiamare in tempo i rinforzi, Wellington previde le sue mosse, etc.”
Ciò non vuole dire mettere in discussione il fatto storico, ma cercare di capirne le ragioni. Oggi la teoria della selezione naturale di Darwin e Wallace è la teoria maggiormente accettata. Però come tutte le teorie scientifiche può essere messa in discussione e viene effettivamente discussa; direi anzi che è necessario che lo sia. Ci sono quindi scienziati che lavorano all’interno della teoria, ma ci sono anche scienziati che cercano altre strade; anche se onestamente oggi è la teoria della selezione naturale quella che spiega il maggior numero di fatti.
Quali sono le origini e la portata della teoria della selezione naturale ? E’ bene prima chiarire cosa intendiamo per selezione naturale. Abbiamo già detto che si tratta di una teoria che nasce subito dopo la seconda metà del diciannovesimo secolo. Due articoli di Darwin e Wallace, pubblicati nello stesso periodo, nel 1858, ne sono la prima pubblicazione. Poi Darwin scriverà il grande libro su “L’Origine delle Specie”, ma è necessario sottolineare sempre l’importanza di Wallace quando si parla di selezione naturale (possiamo eventualmente approfondire quest aspetto dopo).
E’ però necessario tenere presente che né Darwin né Wallace furono i primi a parlare di evoluzione, di trasformazione dei viventi nel tempo. Il primo fu Lamarck, che propose una teoria basata sulla influenza diretta dell’ambiente sul vivente; il vivente che cambiava le sue strutture per adattarsi. Un po’ come un atleta che per aumentare le prestazioni fa attività fisica in palestra, e quindi poi cambia e aumenta la sua struttura muscolare. Però il meccanismo chiave di Lamarck era che queste caratteristiche venivano trasmesse ai figli; cambiando l’ambiente cambiavano quindi le caratteristiche, e i viventi si evolvevano.
Qual’è stato quindi il cambiamento presentato da Darwin e Wallace ? In Darwin e Wallace lo schema è diverso: il punto di riferimento è Malthus e la lotta per l’esistenza.
L’osservazione importante è che all’interno di qualunque specie, animale o vegetale, i figli sono molto più numerosi dei genitori, però di generazione in generazione il numero degli individui rimane pressochè costante. Quindi se tanti sono i figli, ma non tutti arrivano a riprodursi, vuol dire che c’è una mortalità differenziale: qualcuno viene eliminato senza riuscire a riprodursi. E dal momento che all’interno di una specie tutti gli individui sono differenti fra di loro, vi è una variabilità ereditaria; la selezione naturale, l’ambiente, sceglie quindi di generazione in generazione quegli individui che meglio si adattano a certe caratteristiche ambientali. L’ambiente quindi sceglie su una variabilità preesistente, non induce direttamente la variabilità, come invece ipotizzava Lamarck. L’ambiente sceglie, ed ecco la selezione naturale
Questa differente prospettiva cosa ha comportato ? Il grosso vantaggio dell’ipotesi di Darwin e Wallace è di essere molto semplice, e poi di avere una grande potenzialità: può essere analizzata dal punto di vista numerico. Io posso quindi contare quanti individui ad ogni generazione hanno una certa caratteristica e quanta percentuale di figli avranno questa caratteristica nelle generazioni successive. Questa è la maggiore potenzialità e ricchezza di questa teoria. Il suo grosso limite è invece la mancanza di una base genetica, che sarà offerta da Gregor Mendel. E la nuova riscoperta della teoria della selezione naturale si ha proprio quando, nel novecento, vengono riscoperte le leggi di Mendel.
Quali sono le differenze di pensiero tra Darwin, Wallace e Mendel ? Abbiamo tre figure molto diverse, non solo dal punto di vista delle loro teorie scientifiche, ma anche dal punto di vista antropologico e sociale. Darwin, che era pur sempre un figlio dell’alta borghesia, e che potè dedicare la propria vita lavorare su questa idea, senza l’assilo di problemi economici.
E che arriva poi a una posizione agnostica, per non dire atea. Wallace, che invece è un’esponente della piccola borghesia, deve lavorare per vivere (come succede in realtà alla maggior parte delle persone) e che però “si inventa” un mestiere: il procacciatore di insetti e di altro materiale biologico per i grandi musei e le grandi collezioni, che gli consente di viaggiare come Darwin e di toccare con mano anche lui la variabilità dei viventi.
Wallace si allontanerà poi concettualmente (e antropologicamente) da Darwin, perchè a differenza di lui vivrà molto più a contatto con le popolazioni indigene dei paesi extraeuropei (quelli che in quei tempi venivano chiamati i cosiddetti selvaggi), e ne apprezzerà le qualità intellettuali. E arriverà quindi alla conclusione che per la nascita delle capacità intellettuali dell’uomo non sia sufficiente la selezione naturale, ma sia necessario un evento esterno. Wallace lo vedeva nel convergere sull’uomo di potenze creatrici esterne. Non è un cristiano, non crede nel Dio della Bibbia, crede però nella soglia tra animale e uomo, perchè la tocca con mano.
Darwin invece affronta il rapporto animale – uomo con i pregiudizi (se mi si permette l’espressione), del gentleman inglese, e con il pregiudizio di fondo di un gradualismo, e quindi di un passaggio lento dall’animale all’uomo. Se il passaggio è lento, di conseguenza bisogna alzare l’animale, ma bisogna anche abbassare l’uomo, e ovviamente è tra i selvaggi che devono essere trovati gli anelli intermedi. E la descrizione che Darwin fa di questi poveri selvaggi è molto più ruvida di quella di Wallace. C’è un aspetto bellissimo, in una delle pagine di Wallace, che dopo un lungo viaggio arriva finalmente in un villaggio di indigeni, se non ricordo male in Malesia, e scrive: “finalmente mi addormentai sereno, perchè ero nelle mani di questi selvaggi dall’animo gentile”. Mentre se si va a leggere la descrizione degli abitanti della terra del Fuoco che fa Darwin, c’è una discreta differenza di atteggiamento.
Mendel infine è la terza grande figura della biologia dell’ottocento. Figlio di un contadino, quindi proveniente dalla più bassa classe sociale possibile: un contadino dell’Impero Asbrugico. Può studiare perchè entra in seminario, nel monastero degli Agostiniani di Burno, che è era un centro di ricerca per il miglioramento genetico delle coltivazioni, dove cercavano di migliorare le condizioni dei contadini, mettendo veramente la scienza al servizio dei poveri. Mendel quindi lavora in un ambiente molto ricco intellettualmente, ed elabora questa idea geniale: applicare i metodi numerici alla genetica. Ed ecco che nasce appunto la genetica, la teoria sull’ereditarietà dei caratteri, che era l’aspetto che mancava alla teoria di Darwin e Wallace.
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