Torniamo a parlare del modo in cui il Santo Padre vede l’economia, l’imprenditoria e il lavoro, battendosi contro una loro concezione che sembra prendere sempre più spazio: utilitaristica, non etica e non responsabile. Meramente commerciale, potremmo dire, cercando di ottenere il maggior profitto possibile, a prescindere dalle possibili conseguenze per i lavoratori, le loro famiglie, le società e l’ambiente in cui si opera.
Papa Francesco ne ha parlato nuovamente nel proprio recente viaggio a Genova, tracciando anche le ideali e necessarie caratteristiche di quello che ha definito il buon imprenditore. Che per essere tale non deve essere uno speculatore: deve creare valore e lavoro, non predarli. Un imprenditore di questo tipo, l’unico vero imprenditore, è necessario per l’azienda come per la realtà sociale e economica in cui opera, così come per i suoi dipendenti.
Il Pontefice ha affermato che “C’è sempre stata un’amicizia tra la Chiesa e il lavoro, a partire da Gesù”. Lo stesso Gesù era un lavoratore, e “dove c’è un lavoratore, lì c’è l’interesse e lo sguardo d’amore del Signore e della Chiesa”, ha affermato, apprezzando anche la bella “domanda che proviene da un imprenditore – Ferdinando Garrè, n.d.r. – da un ingegnere; dal suo modo di parlare dell’azienda emergono le tipiche virtù dell’imprenditore. E siccome questa domanda la fa un imprenditore – ha affermato – parleremo di loro”.
Elencando le principali caratteristiche del buon imprenditore, “figura fondamentale di ogni buona economia”, perché “non c’è buona economia senza buon imprenditore. Non c’è buona economia senza buoni imprenditori, senza la [..] capacità di creare, creare lavoro, creare prodotti”. E tra le doti necessarie “La creatività, l’amore per la propria impresa, la passione e l’orgoglio per l’opera delle mani e dell’intelligenza sua e dei lavoratori”. Vedi un approfondimento sul giornale Fede e Ragione.
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