Anche tra le persone atee o non credenti esiste un pregiudizio culturale paradossale, per il quale si pensa che chi si rende colpevole di gravi azioni immorali, come omicidi, è più probabile che sia un ateo, anziché un credente o una persona che abbia una qualche forma di religiosità. La religione sarebbe quindi vista come una sorta di garanzia etica e morale: chi ha fede sarebbe necessariamente meno propenso a compiere gesti estremamente gravi e moralmente condannabili.
Lo dimostrerebbe la scienza, ovvero uno studio internazionale pubblicato online questa settimana sulla rivista scientifica Nature Human Behaviour. Nell’articolo – immagine cortesia Nature – dal titolo Global evidence of extreme intuitive moral prejudice against atheists – Evidenza globale di un estremo pregiudizio istintivo verso gli atei, i ricercatori spiegano di aver riscontrato tale stereotipo “nella maggior parte dei 13 paesi studiati”, a prescindere dall’essere tali nazioni laiche o basate su una religione nazionale.
Uno stereotipo quindi difficile da superare, e che mostra un ulteriore paradosso, che contraddice anche l’idea di una progressiva evoluzione del pensiero e delle opinioni umane: si è rafforzato in questi anni, nonostante parallelamente la religione sia sempre meno diffusa e praticata in molte parti del mondo, così come accade pure nella maggior parte delle nazioni da cui provengono le 3.000 persone esaminate nello studio.
Paesi che non hanno nemmeno tutti un rapporto omologo con la religione e la religiosità. Alcuni infatti sono ufficialmente laici, come l’Olanda e la Cina; altri hanno invece una confessione religiosa nazionale ufficiale, come gli Emirati Arabi Uniti, o la Finlandia; o hanno più religioni importanti, come ad esempio l’India – dove tra l’altro oltre il 90 per cento dei cittadini dichiara almeno una qualche forma di religiosità.
I ricercatori, tra cui Will Gervais dell’Università del Kentucky, negli Stati Uniti, hanno diviso gli intervistati in due gruppi equivalenti , descrivendo a tutti la figura di una persona estremamente immorale, capace di torturare animali o persino uccidere persone solo per divertirsi o eccitarsi. Chiedendo al primo gruppo di scegliere il probabile colpevole tra “un insegnante o un insegnante credente”. E chiedendo al secondo gruppo di fare invece tale scelta tra “un insegnante e un insegnante che non crede in Dio”.
Le risposte sono state, come accennato all’inizio dell’articolo, quasi sorprendenti. Le persone laiche, mostrando un forte pregiudizio che andava anche contro loro stesse, hanno dichiarato infatti in maggioranza, implicitamente o esplicitamente, di pensare che esista una forte e “necessaria connessione tra moralità e religione”: si sarebbero aspettate comportamenti come quelle descritti più da un ateo o un agnostico, che non da un credente.
Risposte sorprendenti, dicevamo, anche perché, spiega l’articolo di Nature, altre ricerche scientifiche mostrano invece come “gli istinti morali fondamentali” siano ampiamente presenti nelle persone, e “appaiano emergere indipendentemente dalla religione” delle persone stesse. Per Gervais e i suoi colleghi, lo studio “rivela anche una significativa divergenza” tra le valutazioni della scienza e le opinioni intuitive delle persone laiche, su quella che è la “relazione tra religione e moralità”.
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