Strutture simili ad embrioni derivate da cellule staminali: obiettivi e implicazioni etiche
Una sperimentazione destinata a far discutere, mettendo a confronto differenti visioni etiche della ricerca scientifica. Le strutture cellulari, si legge sull’articolo pubblicato da Nature questa settimana, ricordano embrioni ai primi giorni di vita. Sono state però sviluppate in vitro, con cellule staminali di topo. Una volta impiantate in utero, queste strutture in realtà non evolvono in embrioni maturi. La loro utilità spiega l’articolo, sta nel creare “un modello di coltura precoce della cellula”, e nel “far luce sui processi chiave che stanno alla base di questo periodo cruciale della vita”.
Tecnicamente, parlare di vita artificiale o di embrioni artificiali potrebbe sembrare inesatto. Gli embrioni sono stati però realizzati non partendo da un ovulo e da spermatozoi, ma da sole cellule staminali. Restano inoltre le questioni fondamentali di cosa sia vita, e in quale stadio di sviluppo dell’embrione. Questioni su cui le visioni cattoliche e quelle laiche ovviamente non coincidono. E le ulteriori conseguenze etiche nel caso in cui da queste strutture cellulari si sviluppasse un organismo maturo. A maggior ragione, appare ovvio, occorrerebbe riflettere attentamente sulle implicazioni etiche di eventuali sperimentazioni simili, utilizzando cellule staminali umane.
Tecnica e obiettivi della sperimentazione, gli embrioni artificiali
L’articolo Nature spiega che “alcuni giorni dopo che un uovo di mammifero è stato fecondato, si sviluppa in una blastocisti“, organizzata in “una struttura sferica costituita da uno strato di cellule esterne che circonda una cavità piena di liquido che contiene una massa di cellule embrionali”. Nella ricerca descritta, “le linee cellulari staminali sono state ottenute sia dallo strato esterno che da cellule embrionali”, però i ricercatori avrebbero dimostrato “che entrambi i tipi cellulari possono interagire in vitro per formare strutture simili a blastocisti che chiamano blastoidi“.
Queste pseudoblastocisti o blastoidi sono simili ad una blastocisti di 3,5 giorni, e hanno anche “modelli simili di attività genica”. Analogamente alle blastocisti, anche i blastoidi, si formano “quando i segnali che provengono dalla massa interna delle cellule staminali embrionali inducono lo sviluppo dello strato cellulare esterno”. In una fase di sviluppo normale, lo strato esterno formerebbe la placenta. Attraverso questa sperimentazione, e questo modello pseudoembrionale, Nicolas C. Rivron e i suoi colleghi sperano di riuscire “a capire come si forma la placenta e come l’embrione si impianta nel rivestimento dell’utero”.
Modello di blastoide e autori della ricerca
Nell’immagine in evidenza – cortesia Nature, opera di Nicolas Rivron – è rappresentata la ricostruzione di un blastoide, ovvero l’embrione sintetico realizzato da cellule staminali, fluttuante all’interno di un utero. Il modello di blastoide è stato costruito con mattoncini di plastica. Gli autori e Nature precisano che non sono mattoncini Lego. I mattoncini verdi rappresentano le cellule staminali del trofoblasto, che costituirà la futura placenta. I mattoncini di colore rosso simulano invece le cellule staminali embrionali.
Gli autori dello studio sono Nicolas C. Rivron, Javier Frias Aldeguer, Erik J. Vrij, Jean Charles Boisset, Jeroen Korving, Judith Vivié, Roman K. Truckenmüller, Alexander van Oudenaarden, Clemens A. van Blitterswijk, Niels Geijsen. La ricerca è stata pubblicata sul numero 557 di Nature. Titolo dell’articolo Blastocyst-like structures generated solely from stem cells – Strutture simili alla blastocisti generate esclusivamente da cellule staminali DOI: 10.1038 / s41586-018-0051-0.
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