Quando l’ecologia è paradossalmente aiutata da strutture e insediamenti umani
Un aiuto appunto paradossale, che non risolve certo i problemi creati dalle stesse attività umana, in particolare quelle inquinanti. Ne parla uno studio pubblicato ieri su Nature Scientific Reports. Scopriamo così che strutture antropogeniche – create dall’uomo – nell’oceano, potrebbero aiutare i coralli , minacciati di estinzione, a sopravvivere e prosperare. Parliamo di piattaforme petrolifere e per l’estrazione di gas, relitti di imbarcazioni e grandi navi, o di centrali e dispositivi per produrre ad esempio energia rinnovabile dalle maree.
Queste strutture offrirebbero riparo e nuove sedi alle popolazioni di coralli, e altre specie, minacciati dai cambiamenti climatici, dall’inquinamento ambientali, e dallo sfruttamento degli oceani. Lo studio spiega infatti che “la crescente diffusione di strutture create dall’uomo negli oceani del mondo potrebbe avere un impatto negativo sugli ecosistemi marini in molti modi, anche facilitando la diffusione di specie invasive. Tuttavia, queste strutture hanno anche il potenziale per aiutare la conservazione, fornendo alle specie in via di estinzione nuovi habitat e siti di alimentazione e l’espansione della loro area geografica è meno chiara”.
Con il titolo Ocean sprawl facilitates dispersal and connectivity of protected species, questo interessante articolo è stato pubblicato giovedì 16 agosto 2018 su Scientific Reports, volume 8, Article number: 11346, 2018. Gli autori sono Lea Anne Henry, Claudia G. Mayorga Adame, Alan D. Fox, Jeff A. Polton, Joseph S. Ferris, Faron McLellan, Chris McCabe, Tina Kutti e J. Murray Roberts. Ovviamente non confuta i gravi danni arrecati all’ambiente e agli Oceani in particolare dalle attività antropiche.
Un algoritmo informatico per studiare come alcune specie di corallo potrebbero diffondersi e ripopolare l’oceano
I ricercatori hanno utilizzato un algoritmo informatico, per elaborare ipotesi di dispersione nel Mare del Nord delle larve di una specie protetta di corallo, Lophelia pertusa. Larve che potrebbero essere rilasciate “intorno a installazioni come piattaforme petrolifere e di gas”. Il modello matematico elaborato prevede che “le larve potrebbero diffondersi tra popolazioni di coralli che hanno colonizzato le singole strutture” e potrebbero pure “raggiungere popolazioni naturali situate a grandi distanze”. In questi siti “le larve potrebbero integrare la popolazione esistente” o persino ricolonizzare del tutto le barriere coralline precedentemente danneggiate dall’inquinamento e da attività umane.
Alla ricerca emergere inoltre che “che le strutture antropogeniche nel Mare del Nord formano una rete di cluster densamente collegati di ecosistemi corallini che si estende per centinaia di chilometri e attraversa i confini internazionali”. Tali strutture “potrebbero fungere da trampolino di lancio, tenendo insieme le reti di corallo e aumentando la loro capacità di recupero nei momenti di bassa circolazione oceanica, che potrebbe diventare sempre più importante man mano che le correnti oceaniche si indeboliscono a causa dei cambiamenti climatici nei prossimi decenni”. Immagine, fonte Wikipedia: The Coral Kingdom Collection.
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