Oggi parliamo di mobbing in un modo che probabilmente non piacerà ad alcuni – i mobber – e forse preoccuperà altri, ovvero le vittime.
Un modo però piuttosto realistico, e dimostrato da molte Sentenze che in Italia hanno sanzionato casi di mobbing in questi anni. E dalla numerosa letteratura medico scientifica in merito. E ovviamente dalle vicende di molti lavoratori. Raccontate in tanti anni dai mezzi di comunicazione, o raccontate da loro stessi ad esempio in Tribunale, o dal dialogo in varie aziende con rappresentanti sindacali o con colleghi. Non dobbiamo dimenticare che l’Italia è uno dei paesi a più elevata incidenza del fenomeno mobbing. Un fenomeno pure sottostimato.
Perché sono molti coloro che preferiscono non parlarne, e non vi sono strumenti istituzionali adeguati per monitorare e gestirlo. Ricordando inoltre che ad oggi continua a mancare una Legge che disciplini questo tipo di abusi. Compiuti da manager, responsabili aziendali, lavoratori scorretti e senza senso di solidarietà e rispetto delle regole. Sintetizzando la questione di cui vogliamo parlare oggi, possiamo dire che purtroppo è a dir poco ingenuo pensare che un’azienda e/o responsabili e colleghi che attuino comportamenti ripetuti di mobbing, smettano di farlo per qualche motivo.
Certo non per scrupoli morali: chi ha comportamenti amorali non li cambia, se non è costretto. Le illuminazioni etiche sono a dir poco improbabili. Pure perché parliamo di persone che sono funzionali a contesti e cordate proprio per tali loro comportamenti scorretti e amorali. Inoltre è ovvio che vogliano cercare di nascondere, anziché riconoscere, propri comportamenti e azioni illegittimi e illegali verso azienda, colleghi, dipendenti.
I mobber, proprio per la loro personalità non empatica e perché gravemente sociopatici, non cambiano.
Continueranno quindi a fare mobbing perché hanno definito con le proprie vittime una relazione patologica. E perché moralmente non sono cambiati né cambieranno: per tutelarsi, e perché quello per loro è il modo più semplice – o il solo modo – per conservare e accrescere il proprio potere. E di relazionarsi con gli altri, sul lavoro e altrove. Quindi che si voglia o non si voglia accettarlo, prevalentemente – ogni caso può comunque essere diverso – ci sono quindi solo due opzioni per un lavoratore mobbizzato. Due opzioni che però non si escludono tra loro: muovere azioni legali – civili e/o penali – e cambiare lavoro. A meno ovviamente che gli esiti delle azioni legali non siano sufficientemente pesanti.
Ovvero tali in piccole aziende da obbligare a rispettare la Legge e le Sentenze in merito. E in grandi e medie aziende pure da tagliare drasticamente il numero dei mobber pericolosi o almeno ridurre ai minimi termini – meglio sarebbe azzerarli del tutto – il loro potere. Riducendo pure il potere di quelli rimasti e le loro possibilità di interferire illegittimamente e illegalmente con le vite umane e professionali di colleghi e dipendenti, e con il corretto e giusto funzionamento aziendale.
Non dimenticando quindi che i mobber non portano avanti reali interessi delle aziende in cui lavorano. Portano principalmente – se non solamente – i propri interessi di potere e economici, e quelli delle loro cordate. E consumano e distruggono le aziende come fanno con i dipendenti o colleghi loro vittime. Noi, con i lavoratori italiani e i manager e imprenditori corretti e consapevoli, continuiamo pure a sperare in una Legge anti mobbing. E continuiamo a fare tutto ciò che possiamo, pure sulle pagine di questo giornale, per combattere questa piaga economica e sociale, e coloro che ne sono la causa. Paolo Centofanti, direttore SRM – FedeRagione.
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