Grazie allo studio dei geoneutrini effettuato con l’esperimento Borexino nei Laboratori sotterranei del Gran Sasso, INFN – LNGS, abbiamo la conferma che gran parte del mantello del nostro pianete è composto di uranio 238 e torio 232.
Come spiegano i Laboratori del Gran Sasso, l’esperimento Borexino è protetto dalla roccia della montagna che lo circonda, e si trova così “in quello che viene chiamato silenzio cosmico“. Borexino, frutto di una collaborazione inetrnazionale ha un record: “è l’esperimento più puro al mondo per la misura dei neutrini, non solo quelli provenienti dal Sole ma anche quelli provenienti dalle viscere della Terra, i cosiddetti geoneutrini”. In questi dieci anni i ricercatori hanno raccolto e studiato dati scientifici.
I risultati sui geoneutrini sono stati pubblicati in articoli sulla rivista scientifica Physical Review D. tale è l’importanza di tale studio, che Physical Review D li ha scelti come Editors’ Suggestion. Ovvero sono tra gli articoli scientifici di maggior importanza scientifica. Una importanza spiegata da Gioacchino Ranucci, ricercatore INFN di Milano e coresponsabile della collaborazione scientifica Borexino. “Per la prima volta – ha affermato Ranucci – il segnale dei neutrini prodotti dai processi di decadimento radioattivo di uranio e torio distribuiti nel mantello terrestre è stato chiaramente osservato. Permettendo di escludere al 99% l’ipotesi di assenza di radioattività nelle profondità della Terra”.
Mentre Marco Pallavicini, ricercatore INFN di Genova e coresponsabile della collaborazione scientifica Borexino. ha spiegato che “la pubblicazione non solo raccoglie i nuovi risultati ma presenta anche una metodologia di analisi che potrà essere adottata dagli esperimenti di nuova generazione, che vedranno l’INFN protagonista a livello internazionale. Pallavicini ha affermato anche che “la prossima sfida della comunità scientifica è riuscire a misurare i geoneutrini provenienti dal mantello con una significatività statistica maggiore, magari con rivelatori distribuiti in luoghi diversi sul nostro pianeta”.
Gli studi effettuati mostrano “che buona parte del calore sprigionato dalle viscere della Terra deriva dal decadimento radioattivo dell’uranio 238 e del torio 232 presenti nel mantello terrestre, spesso quasi 3.000 km, su cui poggia la sottile crosta che noi calpestiamo”.Ranucci, Pallavicini e i loro colleghi hanno infatti stimato che vi sia l’85% di probabilità c”he siano i decadimenti radioattivi nelle rocce a produrre più della metà del calore terrestre, con un ruolo preponderante del mantello rispetto alla crosta”. Una scoperta che conduce a “nuovi scenari nell’esplorazione geochimica globale del nostro pianeta”. Dal momento che è stato definito “un valore minimo di abbondanza di uranio e torio nel mantello terrestre, è possibile affermare che una porzione non trascurabile dell’energia che alimenta vulcani, terremoti e il campo magnetico terrestre sia prodotta dalla radioattività terrestre”.
Dalla nota ufficiale, dal sito web dell’INFN – LNGS: lo studio dei geoneutrini
I neutrini sono particelle elusive: per la loro massa piccolissima, quasi nulla, e per il fatto che sono neutri, cioè non sono dotati di carica elettrica, interagiscono pochissimo con la materia e questo rende difficile la loro osservazione. Ogni secondo circa un milione di geoneutrini attraversano un centimetro quadrato della superficie della Terra. Queste particelle sono prodotte dalla radioattività naturale terrestre e rappresentano una delle poche sonde che abbiamo a disposizione per esplorare direttamente le viscere della Terra.
L’intenso campo magnetico, l’incessante attività vulcanica e il movimento delle placche litosferiche sono solo alcune delle peculiarità del nostro pianeta, che lo rendono unico tra i pianeti del sistema solare. Molti di questi affascinanti fenomeni che osserviamo in superficie si producono a profondità di diverse migliaia di chilometri e la loro origine rimane tuttora sconosciuta. Non potendo esplorare il mantello e il nucleo terrestre in modo diretto, non ci resta che ricavare informazioni dalle onde sismiche o dai campioni di roccia portati in superficie dai movimenti tettonici.
A metà del secolo scorso George Gamow e il premio Nobel per la fisica Fred Reines valutarono la possibilità di misurare i geoneutrini per studiare i decadimenti radioattivi che avvengono all’interno della Terra, ma subito a entrambi la sfida apparve troppo ardua: era chiaro che la bassissima probabilità di interazione con la materia rendeva difficilissima la rivelazione dei geoneutrini, che rimanevano nascosti nel rumore di fondo prodotto dalla radioattività di origine terrestre e cosmica.
Ora, a distanza di quasi settanta anni, nei Laboratori Nazionali del Gran Sasso, quello che sembrava all’epoca impossibile è diventato un risultato scientifico, grazie all’estrema purezza e sensibilità dell’esperimento Borexino.
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